sabato 15 dicembre 2012

Cucina araba : il cous cous



Mille e mille granelli, come la sabbia del deserto.  Le radici del  cous cous  si perdono tra le dune del Nord Africa, dove da sempre vivono i Berberi, gli uomini liberi.
Con i cereali che coltivavano, il frumento, ma soprattutto l'orzo, il miglio e il sorgo, preparavano "pappe" con acqua o latte. Il cous cous, chiamato dalle popolazioni berbere in diversi modi (sekso, kskso, kuskus, kuski, ecc.), rappresenta, per modo di dire,  lo sviluppo di questa loro arte culinaria. Furono però gli arabi, in seguito, a diffondere questo piatto che si ottiene con la paziente manipolazione della farina di grano duro. La preparazione  è infatti molto lunga e complicata;  si lavora un impasto di acqua e farina, fino ad ottenere dei granelli di forma differente, a seconda della finezza della lavorazione. In passato veniva effettuata dalle donne africane che, per ottenere grandi quantità  di questo prodotto dovevano riunirsi in gruppi e lavorare per diversi giorni. Oggi la produzione di cous cous è in gran parte meccanizzata. 
Per far si che dopo la cottura, i granellini risultino gonfi, leggeri, ben separati l’uno dall’ altro e senza grumi è necessaria la cottura a vapore e il recipiente tradizionale usato è la couscoussiera che può essere di terracotta, di rame o di alluminio. Si compone di due recipienti: uno inferiore in cui si cuociono le verdure e la carne e uno superiore con il fondo bucherellato nella quale si pone il cous cous che cuocendo con il vapore del preparato sottostante, acquista un sapore unico e speciale. Se non si ha a disposizione  questa pentola, si può ricorrere a un setaccio o ad uno scolapasta di metallo ricoperto da una garza che si adatti perfettamente a un’ampia casseruola. Il couscous è un piatto che oggi si consuma anche in paesi lontani dalla cultura islamica ed è  uno dei piatti più diffusi nel mondo insieme a pasta e riso. Il cous cous che si trova in vendita nei negozi e supermercati occidentali è generalmente un prodotto industriale precotto la cui preparazione è molto più semplice e rapida, è sufficiente re-idratarlo con acqua o brodo bollente e lasciarlo riposare per qualche minuto.

sabato 1 dicembre 2012

La poesia palestinese di Samih al-Qasim

 Fino a quando avrò....  


Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!

Samih Al - Qasim

venerdì 16 novembre 2012

"Ogni mattina a Jenin" Susan Abulhawa


La vita della famiglia Abulheja, proprietari terrieri da generazioni a ‘Ain Hod, viene stravolta. L’arrivo dei profughi ebrei e poi la nascita dello stato di Israele li caccia dalla terra natia, verso il campo profughi di Jenin. E li sottopone a una serie di violenze, di angherie, di drammatici soprusi. Eppure, superando il dramma dell‘esclusione dai luoghi degli avi, gli Abulheja si impegnano perché la vita continui. Figure orgogliose, il vecchio patriarca Yehya Muhammad e i figli Hassan e Darwish. E straordinarie le donne, a cominciare dalla moglie di Hassan, Dalia, bella e ribelle, che nell’angustia del campo profughi, cerca di dare senso ai giorni nonostante la drammatica ferita del rapimento di un figlio, poco più che neonato. Sta nelle mani delle donne, il filo dei rapporti e della memoria. Che da Dalia passa alla figlia Amal, e da lei a Sara. La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, scorre, crudele, dagli anni Cinquanta alle soglie del Duemila.In primo piano c'è la tragedia dell'esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta.

...1941
" In un tempo lontano, prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, prima della nascita di Amal, un paesino ad est di Haifa viveva tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole. Era ancora buio, solo i bambini dormivano, mentre gli abitanti di 'Ain Hod si preparavano alla salat del mattino, la prima delle cinque preghiere giornaliere. La luna pendeva bassa come una fibbia che legasse cielo e terra, una scheggia timorosa di farsi piena. Gambe e braccia si tendevano, l'acqua lavava via il sonno, occhi speranzosi si aprivano. Il udu', l'abluzione rituale prima della salat, spandeva il mormorio della shahada nella foschia del mattino sottoforma di centinaia di sussurri che proclamavano l'unicità di Dio e rendevano onore al suo Profeta. Quel giorno si pregava all'aperto e con particolare riverenza perché iniziava la raccolta delle olive....."


martedì 30 ottobre 2012

Pensieri d'oriente: il silenzio


                                         Per farsi sentire bisogna ogni tanto tacere.

ill: http://orientalist-art.de/galerie1_en.html

mercoledì 24 ottobre 2012

Eid al-Adha 2012

                         26 ottobre 2012


                   
           Felice Eid a tutti i musulmani
    

domenica 14 ottobre 2012

Le odalische e le loro mansioni



Nell'harem vi era un considerevole numero di assistenti e servitori,  più di un centinaio di donne di varie età, a servizio del sultano. Lo svolgimento dei loro compiti era sotto la supervisione della Valide Sultan e la gerarchia era molto complessa.
Il grado più alto spettava alle odalische dette usta (dall'arabo ustaz: professore, maestro). Servivano di persona il sultano, ricevevano stipendi consistenti e potevano dimettersi quando lo desideravano. 
Le haznedar (tesoriere) erano scelte dal sultano stesso e il loro numero variava tra le quindici e le venti. Avevano un ruolo molto importante in quanto gestivano gli stipendi, avevano la possibilità di  intervenire negli affari generali dell'harem e amministravano  i capitali delle principesse e dei principi. Alla morte del sultano, al contrario delle altre cameriere, non potevano rimanere al servizio del successore.
Le odalische che servivano l'imperatore a tavola erano sotto la stretta sorveglianza dell'assaggiatrice capo la quale, per eliminare ogni possibilità di avvelenamento, assaggiava tutti i cibi e durante tutto il pasto rimaneva in piedi alle spalle del sultano. 
La çamasïr ustaaddetta alla biancheria, era la responsabile delle vesti del sultano e dirigeva le lavandaie. 
La ibriktar usta controllava le ragazze che accudivano il sultano durante il bagno.
La berber usta sovraintendeva alle donne-barbiere e agli oggetti per la rasature del sultano.
La kahveci usta e le sue aiutanti avevano il compito  di preparare velocemente e servire  il caffè al sultano  e a tutti i suoi ospiti durante le cerimonie.
Le kadehkar kaden erano le coppiere, mentre le kutucu usta erano le cameriere personali delle donne, delle figlie e delle favorite del sultano. 
La kilerci usta era la responsabile della dispensa ed era aiutata nel suo compito da un certo numero di dispensiere.
La saray usta era una specie di maestra delle cerimonie in tutte le occasioni, matrimoni, nascite, festività.
L'organizzazione dell'harem seguiva esattamente quella del Palazzo imperiale, e ad ogni funzionario di Stato corrispondeva una donna con uguali mansioni nel reparto femminile. 
C’era così la capo segretaria responsabile della disciplina, dell'ordine e del protocollo ed aveva quattro assistenti.
La vekil usta era una sorta di prefetto, di procuratore, che sovraintendeva alle odalische, fra le quali veniva scelta.
L'hastalar usta era l'infermiera specializzata nella cura con le erbe e gli unguenti e con il suo seguito si dedicava agli ammalati dell'harem.
Di poco più importanti, ma più amate dai sultani, che esse avevano visto nascere, erano le levatrici e le balie, scelte in famiglie di particolare qualità.
Molto considerate erano le bambinaie, le uniche che, come le nutrici, potessero prendere in braccio figli e figlie dei sultani.
La kahya kaden era la donna funzionario di più alto grado nell'harem. Era una sorta di sovraintendente di corporazione, in grado di dirigere le cameriere raggruppate nelle varie funzioni.
Poi c'era la funzionaria dell'harem addetta al servizio delle principesse sposate e dei principi.
Infine le musahip kaden facevano parte del seguito personale del sultano, e dovevano naturalmente dar prova di qualità straordinarie, inclusi brio, cultura, spirito e gentilezza.

ill: Frederick Arthur Bridgman- In the Harem- 1894


domenica 30 settembre 2012

Tajine




Con il nome tajin o tajine si intende, sia il piatto di carne in umido tipico della cucina marocchina (e del Maghreb in generale), che la pentola stessa in cui la carne viene cucinata. Si compone di due parti: una unità di base piatta e circolare, che viene utilizzata per servire il piatto in tavola ed un grande coperchio a forma di cono o cupola che poggia all’ interno della base. La forma del coperchio è così studiata per facilitare il ritorno della condensa verso il basso, in modo che gli aromi non si disperdano con l’evaporazione, in più la presenza di un piccolo foro permette al vapore di uscire. Un pomello sulla sommità rende più facile la presa. Il tajine originale è solitamente in terracotta grezza, ma si trova anche smaltato, verniciato e finemente decorato, bisogna però sottolineare che quest’ultimo non è adatto alla cottura ma al solo servizio in tavola in quanto non in grado di sopportare le alte temperature e la fiamma dei moderni fornelli a gas. La cottura più adatta è quella sulla brace, lenta e a basse temperature  per far si che la carne risulti tenera e aromatizzata. Si consiglia di non lavare il tajine con detersivo in modo che conservi il profumo e l’aroma dei cibi cucinati, questo permette di avere risultati sempre migliori.

http://teallamenta.blogspot.it/p/la-cucina-araba.html


sabato 15 settembre 2012

Proverbio arabo (Marocco)


                               

              Se ti piace il miele,  devi sopportare le punture delle api.



giovedì 30 agosto 2012

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: tchadri o chadri


Il tchadri ( termine persiano sinonimo di burqa) è la variante del chador iraniano.
E’ un velo di mussola indossato dalle donne in alcune regioni dell’Afghanistan, del Pakistan e dell'India. Al contrario del chador, solitamente nero, il tchadri è di colore piuttosto vivace ed è confezionato solitamente in rayon o in seta. Molto simile al burqa si  differenzia per la lunghezza e il taglio. La parte anteriore infatti non arriva fino a terra lasciando  fuoriuscire le mani e le braccia per agevolare i movimenti, in alcuni casi è  aperto sul davanti o  corto al punto da far fuoriuscire le vesti o i pantaloni. Si accompagna a guanti che nascondono le mani e il volto è celato da “una fitta rete" sugli occhi che permette di vedere senza essere visti. L' uso di questo indumento divenne facoltativo nel 1959, ma fu imposto nuovamente dai talebani nel 1996, quando presero il potere in Afghanistan.  


martedì 14 agosto 2012

La poesia irachena di Younis Tawfik

La notte del destino



Nei varchi tra la notte
e l’impossibile,
sotto un velo di neve,
ti ho scorto che gridavi le forme delle piaghe,
e nella tenda del silenzio tu soffrivi la tua eco:
dividevi il terrore insieme al tuo assassino,
aprivi il petto al vento,
e ne facevi catene alla passione
e per il pianto….
Adesso è qui la Notte del Destino,
perciò stràppati il manto della sopportazione,
e sacrifica gli occhi al nume della guerra,
finché le tue visioni vengan meno…

È una notte di ghiaccio
ed è di fuoco, è notte
che gli specchi del cielo vede infrangersi
e scenderne le lune, come fossero pioggia fatta pietra…
Così fisso il tuo nome
ed il tuo volto,
fisso la morte fin che arriva il giorno.

E tu frattanto
spartisci le mie pene e poi scompari,
ti muti nel miraggio dell’infanzia,
penetri nel segreto del deserto
e il tuo cuore fiorisce nella sabbia: simile a un girasole,
a un canto funebre.

E tu diventi
riso di bimbo che la vita uccide,
e che rinasce nella notte in cui
Dio scende come un plenilunio triste
sopra i due fiumi,
e sugli schieramenti delle palme.

Younis Tawfik


mercoledì 1 agosto 2012

La cucina araba



La cucina araba è molto ricca e varia, così come profondamente diversi sono i paesi che appartengono al mondo arabo. Per comodità si può dividere questo mondo in tre grandi regioni: il Mashreq, cioè l'Oriente, che comprende l'Arabia Saudita, gli Stati del Golfo, lo Yemen, l'Irak, la Siria, il Libano, la Palestina, la Giordania e il Maghreb, l'Occidente, che comprende il Marocco, l'Algeria, la Tunisia, la Libia, senza dimenticare Sudan ed Egitto che in un certo senso collegano l'Occidente all'Oriente. Ogni regione esprime nella cucina le sue tradizioni ed il suo passato. Nell'Arabia Saudita il montone arrostito deriva da una civiltà beduina dedita alla pastorizia e al nomadismo. Le "Kafta" sono polpette di carne, aromatizzate con le spezie che gli Arabi introdussero nei loro commerci nel Mediterraneo; zafferano, cumino, cardamomo, cannella ricordano l'intensa attività commerciale di un tempo. I dolci, raffinatissimi a base di mandorle e miele, aromatizzati con essenze come la rosa e il fiore d'arancio evocano i racconti delle "Mille e una notte". I fiori d'arancio sono inoltre tuttora utilizzati in alcuni paesi arabi per aromatizzare l'acqua che servirà alla preparazione di altri piatti. I "falafel" polpettoni di fave o di ceci, molto popolari in Egitto, si dice fossero già conosciute ai tempi dei Faraoni. La cucina araba più vicina a noi è senza dubbio quella marocchina. Alcune ricette e alcuni metodi di cucinare hanno origini millenarie. La storia  di questa antica tradizione risale a 2000 avanti Cristo e la prima relazione scritta l'abbiamo da Plinio il Vecchio. Il piatto più conosciuto è il couscous. Questo piatto, si deve far risalire ai Berberi, il popolo che abitava il Maghreb prima della conquista araba. La grande maggioranza degli arabi sono musulmani e si sottopongono quindi alle regoli alimentari imposte dal Corano. Le più conosciute e seguite sono il divieto di mangiare carne di maiale e carne non "halal" ovvero proveniente da animali non sgozzati. Durante il Ramadan, mese in cui si pratica il digiuno dall'alba fino al tramonto, assumono particolare importanza alcuni piatti che vengono cucinati soprattutto in questo periodo. Paradossalmente non si cucina mai così tanto come in tempo di Ramadan. Troviamo  il " khushaf " una macedonia egiziana di frutta secca, e  l' harira  marocchina e algerina, zuppa con carne e legumi secchi che costituiscono un piatto particolarmente leggero, ma completo e quindi adatto a rompere le lunghe ore di digiuno.
Anche l'ospitalità araba è ben nota. All'ospite oltre al the, si offre sempre del cibo che viene preparato in quantità generose per esserne provvisti nel caso arrivasse un ospite in più. L'arabo non mangia volentieri da solo, nelle famiglie più tradizionali tutti si riuniscono attorno ad un basso tavolo rotondo, e si servono attingendo ad un unico grande piatto. Non si usano posate, i bocconi si prendono servendosi del pane, ne consegue per ovvie motivi che è di fondamentale importanza lavarsi le mani prima di mangiare. La famiglia e gli ospiti possono attingere all'acqua servita da una brocca con un asciugamano e una saponetta, senza alzarsi da tavola. In genere, all'inizio e al termine del pasto si ringrazia Dio, "bismi Allah", per il cibo che viene così sacralizzato.

domenica 15 luglio 2012

Ramadan 2012


Curiosità:
contrariamente al calendario gregoriano che è solare,  il calendario islamico si basa sulle fasi lunari. La grande differenza è che gli anni lunari sono più brevi ( 354 giorni invece di 365) e pur avendo lo stesso numero di mesi, questi contano solo 29 o 30 giorni ed iniziano con l’avvistamento della luna nuova. Così, nel mondo islamico, anche le festività religiose cadono in modo differente di anno in anno, come il Ramadan che anticipa ogni anno il suo inizio di 11 giorni e si sposta gradualmente attraverso tutte le stagioni, ritornando solo dopo 33 anni, allo stesso giorno.
Quest’anno la data approssimativa dell’inizio del mese di Ramadan 2012 è il 20 luglio.
Quando il Ramadan cade in inverno, il digiuno (صيام sawm) viene vissuto meglio e il momento dell'iftar gode di una maggiore spiritualità. Non bere e non mangiare quando il clima è temperato e le ore di luce sono più brevi, sottopone il fisico ad una fatica minore. Durante i mesi caldi, invece, non bere per tutto il lungo giorno sottopone il fisico ad un forte stress e l’Iftar, prima ancora che una celebrazione a carattere religioso, diventa una impellente necessità fisica.


                              *  Buon Ramadan a tutti i musulmani
                                                     in Italia e nel mondo *




lunedì 2 luglio 2012

Pensieri d'oriente

                
           Posa i tuoi occhi sulla tua debolezza e sarai fortificato


Faouzi Skali
Insegnante alla Scuola normale superiore di Fes, in Marocco, appartiene a una famiglia di sharif (discendenti del Profeta) ed è membro di una tariqa (confraternita) sufi. È direttore del Festival de Fès des Musiques sacrées du Monde (Festival di Fes delle musiche sacre del mondo).


martedì 12 giugno 2012

Un atto d'amore

L'uomo osservava lo spettacolo: una formica stava trainando un grumo di terra, 
che sembrava pesantissimo. Si muoveva lentamente, per lo sforzo enorme.
L'uomo disse: "Perché sprechi le tue forze? Non vedi che non ce la fai?".
L'insetto senza scomporsi rispose:" Tu sei un uomo e non capisci il valore dei miei sforzi.
"Vedo che resti perplesso: le mie parole non ti persuadono!
"Sappi allora che agisco per amore .
"Devo sgombrare il passo a una femmina. Solo così mi concederà le sue attenzioni.
"Per il momento non può raggiungermi, poiché la soglia della sua dimora è bloccata.
"Ma, spostando questa collinetta, le permetterò di venire accanto a me.
"Certo, rischio di vacillare e di farmi soffocare dal carico.
"D'altra parte, una vita senza amore è inutile.
"Non capisci che, nell'impresa, ho solo da guadagnare?".

lunedì 28 maggio 2012

La poesia araba di Nizar Qabbani

 Il mondo.



O Signore, il mio cuore non mi basta più,
quella che io amo e' grande quanto il mondo:
mettimene nel petto un altro
che sia grande quanto il mondo. 
                   ...............                    
Continui a chiedermi la data della mia nascita
prendi nota dunque
cio' che tu non sai,
la data del tuo amore:
quella e' per me la data della mia nascita.
                   ...............
Io non ho detto loro di te
ma essi videro che ti lavavi nelle mie pupille
io non ho parlato loro di te
ma essi ti hanno letto nel mio inchiostro e nei miei fogli
L'amore ha un profumo
non possono non profumare i campi di pesco.
                  ...............
La cosa piu' bella del nostro amore e' che esso
non ha razionalita' ne' logica
La cosa piu' bella del nostro amore e' che esso
cammina sull'acqua e non affonda.

illustrazione: http://www.farid-benyaa.com/

lunedì 7 maggio 2012

Eid al-Umm : la festa della mamma


Le origini della “festa della mamma” risalgono a 7000 anni fa, a quando gli egiziani esprimevano la loro gratitudine al valore della madre e all’ amore materno. La celebrazione di questa festa fu però poi interrotta per un lunghissimo tempo, fino a che fu ufficialmente ripristinata da due fratelli egiziani, Mustafa  e Ali Amin,  fondatori del quotidiano Akhbar Al-Youm.
Ali Amin  aveva ricevuto la lettera di una madre che si  lamentava per il cattivo comportamento dei suoi figli e la sofferenza che le procurava la loro ingratitudine. Un'altra madre invece, si era recata nell’ufficio di Mustafa Amin e gli aveva raccontato la sua storia; rimasta vedova quando i suoi figli erano piccoli, non si era mai risposata. Aveva dedicato a loro tutta la sua vita rivestendo il ruolo di padre e madre, aveva impegnato tutte le sue energie per garantire ai figli  il benessere fino alla loro partenza per l'università e il loro matrimonio. Ognuno di loro viveva ora una vita indipendente, ricordandosi di lei solo in rare occasioni. A Mustafa e Ali Amin venne allora l’dea di dedicare una giornata alle mamme e chiesero ai lettori del loro giornale un parere, pubblicando un articolo nella famosa colonna "Fikrah" (idea) dove sottolineavano  il fatto  che l'Occidente già celebrava questa festa e che l'Islam imponeva di prendersi cura delle madri. L’idea ebbe un notevole successo, alcuni suggerirono di prolungare i festeggiamenti per una settimana, altri fecero notare che la celebrazione delle madri sarebbe dovuta avvenire ogni giorno dell’anno, ma poi si stabilì che la festa fosse il 21 marzo coincidendo con il primo giorno di primavera. Così l’ Egitto celebrò la sua prima “festa della mamma” ( Eid al – Umm)  il 21 marzo 1956 e gli altri paesi arabi lo seguirono.
In Iran la festa della mamma coincide con il compleanno di Fatima, la figlia più giovane del Profeta Maometto. Si dice che dai figli di Fatima prese il via la corrente islamica sciita, la religione ufficiale dell'Iran. Fatima ha sempre rappresentato un modello femminile da seguire; all'inizio essa conteneva i valori di disprezzo e di protesta contro l'ingiustizia, dopo la rivoluzione del '79 Fatima rappresentò gli ideali di castità e di sottomissione.

domenica 15 aprile 2012

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: il kaftan marocchino e il takchita


Patrimonio, nel XVIII secolo, delle donne più facoltose del Marocco, il kaftan (o caftano) è oggi il simbolo della cultura femminile marocchina, l'elemento che rivela lo stato sociale di chi li indossa. Si dice provenga dalla Persia e all’origine era un abito indossato prevalentemente dagli uomini. I primi caftani erano abbastanza semplici, poi i disegni, i tessuti e le stampe diventarono sempre più complessi nel corso del tempo e negli anni dell’ Impero Ottomano raggiunsero  il loro apice per magnificenza. Il Palazzo Topkapi ad Istanbul, mostra una vasta collezione di caftani bellissimi indossati dai sultani del passato. Furono i conquistatori arabi  che diffusero l’uso di questo abbigliamento dall’Oriente all’Andalusia, fino al Maghreb. In Marocco è un abito tipicamente femminile. Abbottonato sul davanti è una veste ampia e lunga fino alla caviglia. Ci sono modelli a manica lunga e corta a seconda della stagione. Molto spesso le donne marocchine comprano la stoffa e poi  lo fanno confezionare su misura da un sarto, per far si che vada loro a pennello. Il taglio di questi abiti è quasi sempre lo stesso, ma le varianti sono infinite: può essere di una semplicità estrema (in questa versione viene utilizzato quotidianamente in casa) oppure quanto mai sontuoso, fatto di tessuti pregiati come broccato e seta, ricamato con fili d’oro e argento, ornato da gioielli ed utilizzato soprattutto nelle cerimonie e nelle feste di matrimonio abbinato a cinture speciali, chiamate 'mdamma'. Spesso sono cinture d'oro, molto pregiate, ma ci sono anche cinture più semplici e meno costose in modo che le donne possano vestirsi secondo le loro possibilità economiche. Il caftano che le donne indossano generalmente al loro matrimonio si chiama "al Fir3awn" (il faraone) e durante la cerimonia, la sposa cambia dai 5 ai 7 abiti. Spesso si confonde il kaftan con un altro tipico abito marocchino che si chiama takchita, ma vi è una sostanziale differenza. Il primo consiste in un abito unico, può avere un rivestimento, ma sarà comunque sempre unito al vestito. Il takchita invece è  composto da un "sotto-gonna" e dall’abito vero e proprio comunque sempre distinti e separati. Inoltre alcuni esemplari hanno anche un terzo pezzo che consiste in pantaloni stile odalisca con gambe larghe e stretti sui polpacci  e vengono chiamati takchita Jabador. Col tempo tutto cambia e anche il kaftan marocchino è cambiato, alcuni stilisti l'hanno modernizzato (fin troppo, secondo il parere dei più conservatori) e adesso ci sono  anche Kaftan scollati o di  jeans.... 


mercoledì 21 marzo 2012

La poesia persiana di Hafiz

Il saggio

                                       Ero perso con lo sguardo verso il mare
ero perso con lo sguardo nell'orizzonte   
tutto e  tutto appariva come  uguale ; 
poi ho scoperto una rosa in un angolo  di  mondo,
ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione   
di essere imprigionata fra le spine   
non l'ho colta ma l'ho protetta con  le mie mani,   
non l'ho colta ma con lei ho condiviso  il profumo  
e le spine, tutte quante.
Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i tuoi passi,
ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafiggi.

Hafiz


Poeta persiano e mistico sufi, Hafiz nacque nel 1325 a Shiraz, in Persia (l'attuale Iran). Il suo vero nome era Muhammad Shams ad-Din. Hafiz vuol dire " Colui che conosce il Corano a memoria". La sua famosa opera Divan (Canzoniere), comprende oltre  500 componimenti. Muore nel 1389.

lunedì 5 marzo 2012

La donna più bella


A volte le convinzioni sono tanto deboli da venire estirpate facilmente. 
Un sedicente Sufi andò alla sorgente a rifornirsi d'acqua e vi trovò una bellissima ragazza. 
Per l'occasione, non poté trattenersi da questa dichiarazione: " Sei stupenda, accettami come sposo."
" Ti piaccio veramente?", chiese la fanciulla.
" Ma certo, sei la donna più bella che abbia mai visto!" rispose il Sufi.
" In tal caso, visto che ami la bellezza, sappi che alle tue spalle sta arrivando una fanciulla ancora più affascinante. In confronto a lei, io appaio persino sgradevole!"
Il Sufi si voltò di scatto, ma non vide nessuno.
La ragazza disse:" Mi ami tanto che il solo pensiero di una donna più bella basta a farti girare la testa!"
E dopo queste parole svanì nel nulla, da dove era venuta.


                         8  marzo: festa della donna
           
                Auguri !




domenica 26 febbraio 2012

La grossa eredità


C'era una volta, un commerciante che, dopo una vita trascorsa nel commercio, aveva messo da parte un'enorme ricchezza. L'uomo però, sperperò in breve tempo i tanti guadagni vivendo nel più grande sfarzo, spendendo per bere e per il gioco d'azzardo. Quest'uomo aveva due figli.
Quando questi furono cresciuti e iniziarono a guadagnare tanto di che vivere, si adirarono profondamente col padre che aveva scialacquato tutti i suoi beni e risparmi. Nonostante l'uomo fosse ormai anziano e non godesse di buona salute, non riceveva nessun aiuto dai suoi due figli.
Un giorno allora l'uomo, disperato, andò da un suo vecchio caro amico sperando nell'utilità di un suo consiglio. Appena l'uomo spiegò all'amico come i suoi figli non l'amassero e come gli facessero mancare ogni tipo di sostegno, l'amico gli rispose: "Non preoccuparti, caro amico. Ecco cosa devi dire ai tuoi figli: Una volta ho prestato ad un amico una grossa somma di denaro e ora egli me la restituirà". L'uomo, ampiamente soddisfatto, ringraziò e tornò sereno verso casa.
Qualche giorno dopo, come d'accordo, l'amico venne a trovarlo portando con sé una grossa e pesante cassapanca. Entrando disse: "Che Dio accresca le tue ricchezze! E' passato tanto tempo, ma finalmente eccoti indietro il denaro che mi avevi prestato!". L'uomo allora mostrò davanti ai figli grande entusiasmo e con felicità disse: "Cari figli, il denaro che il mio amico mi sta restituendo sarà vostro, lo lascio in eredità a voi! Un terzo del denaro sarà distribuito ai poveri, tutto il rimanente lo dividerete voi due! Io controllerò solo che nulla vada perduto". 
Da allora in poi l'uomo fece costante guardia alla cassapanca. Se si doveva assentare un attimo, chiudeva accuratamente la porta della stanza a chiave. I suoi due figli, finalmente, non gli facevano più mancare nulla ed esaudirono ogni suo desiderio sino alla sua morte. L'uomo gioiva di aver finalmente rieducato i suoi figli al bene. 
Quando l'uomo morì, i figli poterono finalmente aprire la cassapanca ma ebbero una grossa delusione: la cassapanca era colma solo di sassi! Subito però i figli capirono e riconobbero sereni una cosa basilare: l'educazione al bene e all'amore verso i genitori è meglio di qualsiasi ricchezza esistente al mondo . . .

ill : Portrait of an Arabic man. Louis J. Endres (Am.1896-1989). 

domenica 12 febbraio 2012

la poesia araba di Nizar Qabbani



Oggi è tornato
Come se niente fosse accaduto
Con gli occhi innocenti di un bambino.
È tornato per dirmi 
Che sono la compagna della sua vita,
il suo unico vero amore.
È venuto portando fiori, come posso respingerlo,
la mia gioventù dipinta sulle sue labbra.
ricordo ancora, con il sangue in fiamme,
quando mi rifugiavo tra le sue braccia
e nascondevo la testa sul suo petto
come un bimbo che ritorna dai genitori.
Anche i miei abiti
Erano felici,danzavo innanzi a lui
Gli domandai come stava
Piansi per ore sulla sua spalla
Per poi addormentarmi come un uccellino tra le sue mani
Dimenticando tutto il mio dolore in un istante
Chi ha mai detto che ho sofferto per colpa sua!?
Quante volte ho detto che non sarei tornata da lui!
Quant’è dolce però il ritorno a lui.

giovedì 2 febbraio 2012

I poveri

                                          
                                L’essenza dello sviluppo, sta o dovrebbe stare ,
                                nel migliorare la qualità di vita dei più poveri.

                                Muhammad Yunus

Muhammad Yunus ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006. E' famoso per aver fondato il primo istituto di micro-credito ed è soprannominato il "banchiere dei poveri".

venerdì 20 gennaio 2012

Proverbi di Abu Dhabi

proverbi e modi di dire popolari negli Emirati Arabi


إذا ريت الريال تعلب بالحاها العب بلحيتك شراها
[Traslitterazione: Idha reit-il-riyal til’ab bilhaha, il’ab blihiatik shiraha]
 “Se vedi un uomo strofinarsi la barba, strofinati la tua”, ovvero: “Quando a Roma vai, fai come vedrai”.

الحيلة ما توصل دار
[Traslitterazione: Al-hila matwassil dar]
"L’inganno non apre alcuna porta".

اليمر يخلف رماد
[Traslitterazione: Al-Yamer yikhallif ramad]
“Il carbone diventa cenere”, ovvero i genitori (carbone che brucia) non sono sempre da incolpare per le malefatte dei figli (cenere), dato che una brutte indole può sopraffare la buona educazione ricevuta.

الخير في بطن الشر
Traslitterazione: Al-khair fi batn al-sharr]
“C’è un po’ di bontà nel cuore (letteralmente, nella pancia) del diavolo”, ovvero: “In ogni male risiede un po’ di bene”.

الغرقان يتعلق بالشبو
[Traslitterazione: Il-ghargan yitt-allag bil-shabou]
“Un uomo che sta affogando si aggrappa ad un’alga”.

المستعجل ما كل قرصه ني
[Traslitterazione: Al-mista’jil makil ghirsa nay]
“Quel che si cuoce in fretta è mezzo crudo”.

بيضة اليوم ولا ديايه باكر
[Traslitterazione: Baidha el-yoam wala diyaya baaker]
“Meglio un uovo oggi che una gallina domani.”

اربط صبعك وكل بينعت لك دواء
Traslitterazione: Urbut isba’ak wilkul bi-yena’tlack dawaa]
“Fasciati la mano e tutti ti prescriveranno delle medicine”

احضر على مالك ولا سبعه من عمالك
Traslitterazione: Ihdhar ala-malik wala sab’a min ommalak]
 “Occupati tu stesso, e non sette dei tuoi dipendenti, del tuo denaro (dei tuoi affari)”

المسافر له في البحر طريق
[Traslitterazione: Al-mussafer lahu fil-bahar tireeg]
“Un viaggiatore trova un sentiero nel mare”, ovvero: “C’è sempre una via d’uscita”.

martedì 3 gennaio 2012

Le odalische



Negli harem ottomani, ogni componente femminile proveniva dal mercato degli schiavi o da un territorio conquistato, quale preda di guerra; oppure era un dono fatto al sultano da sua madre (validè sultàn), dalle sue sorelle o da un alto funzionario dello Stato, che solitamente provvedevano a una prima educazione della ragazza. Di norma si trattava di ragazze accuratamente scelte, non comuni per bellezza e altre doti.  Ve ne erano di tre tipi: quelle relativamente anziane, adibite al basso servizio; altre acquistate ancora bambine, all'età di cinque o sei anni, alle quali nel Palazzo venivano insegnate musica, danza, etichetta e letteratura; e infine le più belle, con un’età compresa fra i quindici e i vent'anni. Giunte a Palazzo, ricevevano un nuovo nome e una ulteriore istruzione. Tutte dovevano studiare bene il turco, saper leggere il Corano e conoscere storia turca e religione islamica. A questo punto diventavano  "novizie" poi, con il  passare del tempo potevano diventare  kalfa, e semmai alla fine usta.  Le usta  (dall'arabo ustaz= professore, maestro) erano le odalische di più alto grado, servivano di persona il sultano, ricevevano stipendi consistenti e potevano dimettersi quando lo desideravano. 
Tutte le odalische,("odalisca" significa "cameriera" da oda= stanza) dall'ultima novizia alla tesoriera in capo, percepivano un salario giornaliero in aspri d'argento, a seconda delle rispettive mansioni, mentre il loro abbigliamento era pagato dal Tesoro del Palazzo; in occasioni di feste e di nascite ricevevano ricchi doni. 
Tutte le domestiche, dopo nove anni di servizio, se lo desideravano, potevano lasciare il Palazzo e anche sposarsi; veniva rilasciato loro un "certificato di liberazione". A quelle che si sposavano, oltre ai doni delle amiche e della validè, venivano dati un anello di diamanti, orecchini di diamanti, un orologio d'oro, porta bicchieri d'argento, due cucchiai e il corredo per la casa; ma quando se ne andavano dopo un servizio più prolungato (diciotto anni e più) ricevevano anche case e terreni, oppure pensioni.  Le odalische vergini, o apprendiste, vivevano in due appartamenti separati dal resto dell'harem, dove cucivano, ricamavano, e studiavano. Imparavano musica, danza o canto e le regole dell'etichetta di corte. La validè sultàn sceglieva fra queste il proprio seguito. 
Divenute più abili nelle rispettive mansioni, venivano chiamate kalfa. A seconda delle loro qualità e della loro bellezza venivano destinate al servizio negli alloggi del sultano, delle "signore" del sultano, della validè, dei prìncipi, delle favorite. Vi erano tre gradi di kalfa; e di solito il sultano stesso sceglieva quelle di primo grado, che sapevano suonare, cantare, scrivere poesie e istruire le apprendiste. Quelle di secondo grado dirigevano le novizie e le cameriere comuni. Quelle di terzo grado servivano le prime e le seconde. 
Le odalische alternavano una settimana di lavoro ad una di riposo, con turni rigidamente fissati che iniziavano ogni venerdì. Ogni notte un gruppo di kalfa, dalle 15 alle 20, sorvegliava gli alloggi e pattugliava tutte le stanze e i giardini. Ogni giovedì si procedeva alle pulizie comuni, e all'inizio di ogni mese le cameriere comuni si dedicavano alle pulizie generali. In definitiva la vita nell'harem era si una vita di lusso, di agi, ma non di stravizi, dissolutezze e snervanti piaceri come hanno fatto credere i molti viaggiatori dei secoli passati.

ill: Le Odalische di M.Belloni (XIX sec.) La favorita dell'Harem

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...