venerdì 24 dicembre 2010

Poesia araba


                             Sogno di vivere in un mondo senza frontiere
                             e senza paure
                             dove la guerra è un ricordo
                             di un vecchio passato.
                             Sogno di vivere in un mondo
                             dove non esistano né bombe né kamikaze,
                             dove una madre non versa lacrime
                             sul viso insanguinato di un neonato.
                             dove cristiani, musulmani ed ebrei
                             pregano nello stesso luogo,
                             illuminati dalla stessa luce
                             che irradia tutti i giorni
                             i cuori dei bambini.

 
tratto da “il custode dei Corano“ di Haifez  Haidar

lunedì 29 novembre 2010

la tribù dei figli dell'avarizia


C'era una volta una tribù berbera, che viveva in mezzo alle montagne, chiamata Beni Shahih che significa Figli dell'Avarizia. In effetti, i componenti della tribù erano conosciuti da tutti per la loro taccagneria. I viandanti che si dovevano fermare a riposare nel loro villaggio, sapevano già che sarebbe stato loro offerto solo un pó di siero di latte allungato con acqua, beveraggio che di solito si dà ai cani.

Un giorno, un uomo della tribù, stanco di essere preso in giro con la sua gente per l'avarizia, pensò di dover liberare il villaggio da questa cattiva fama, riflettè a lungo e alla fine gli venne un'idea. Il giorno di mercato si recò sulla piazza, convocò a gran voce tutto il paese e disse: " É vergognoso che tutti ci considerino avari, dobbiamo cambiare e dare agli altri una prova di generosità e ospitalità ". Le sue parole furono accolte con entusiasmo e tutti chiesero che cosa dovessero fare. L'uomo disse: " Ognuno di noi, domani mattina, porterà un otre di ottimo siero con il quale riempiremo questa cisterna, cosi gli stranieri assetati che si troveranno a passare di qui, potranno bere invece dell'acqua dell'ottimo siero di latte. La notizia circolerà di paese in paese e tutti ci loderanno per la nostra generosità ". I presenti furono d'accordo e decisero di trovarsi la mattina seguente per riempire la cisterna. A casa però, ognuno riempì il proprio otre d'acqua, senza farne parola agli altri, in quanto ognuno pensò che in una cisterna piena di latte nessuno si sarebbe accorto di un pó d'acqua versata.

La mattina seguente tutto il villaggio si trovò intorno alla cisterna, ma questa era completamente vuota e nessuno voleva iniziare a riempirla. Alla fine uno degli uomini disse: " Scommetto che i vostri otri sono pieni d'acqua ". E gli altri replicarono: " E noi scommettiamo che anche il tuo otre contiene solo acqua! ". Tutti scoppiarono in una risata e si resero conto di quanto sia difficile cambiare il proprio carattere.

www.arab.it

martedì 16 novembre 2010

Eid Mubarak

EID AL- ADHA       1431/2010              16/11/2010


Saluti tradizionali arabi utilizzati durante la festa dell' Eid:

Eid saiid.
Felice Eid.

Eid Mubarak .

Eid benedetto.

“Taqabbala Allahu minna wa minkum.”
Che Allah  acetti buone azioni da noi e da voi.

“Kul ‘am wa enta bi-khair!”
Che ogni anno tutti ti trovino in buona salute
.


domenica 31 ottobre 2010

L'umiltà

                                         L’umiltà sta anche nel riconoscere
                                         che qualsiasi creatura nell’universo
                                          può insegnarci ciò che ignoriamo
.


                                              Jalal al- Din Rumi poeta persiano




domenica 10 ottobre 2010

Proverbi persiani


La gabbia senza uccelli ha ben poco valore.

Quel che mangi diventa putridume, quel che doni diventa una rosa.

La magnanimità consiste nel rendere giustizia non chiedendo giustizia.

Ai cattivi come ai buoni, fate sempre la carità. Facendola ai buoni, aggiungerete merito alle vostre virtù; facendola ai cattivi, eviterete il pericolo dì ingannarvi.

Se tutte le formiche si riunissero, finirebbero con il sopraffare i più formidabili leoni

La piccola formica non teme mai la carestia; il leone, nonostante i suoi denti aguzzi e gli artigli acuminati, non sempre trova da mangiare.

Incarica un guardiano di sorvegliare i tuoi gioielli, ma non incaricare mai nessuno di sorvegliare i tuoi segreti.

Se a mezzogiorno il re ti dice che è notte fonda, tu contempla le stelle


martedì 21 settembre 2010

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: djellaba



La djellaba è una tunica, più o meno ampia, con cappuccio a punta e con maniche strette e lunghe. Si usa  soprattutto in Marocco ed è indossata sia dagli uomini che dalle donne.
Negli anni quaranta, uomini e donne di città vestivano quasi allo stesso modo, con tre capi di vestiario sovrapposti. Il primo capo, il qamis, lunga tunica bianca, era molto morbido in seta o cotone. Il secondo, il caffettano, era di lana pesante e il terzo, quello più esterno era la farajiyya, una veste leggera, spesso trasparente, con due spacchi laterali. Quando uscivano in pubblico, aggiungevano un quarto capo la djellaba. Con il passare degli anni l’abbigliamento si è un po’ diversificato.
 Gli uomini vestono generalmente djellabas dai colori chiari, per riflettere il sole marocchino molto forte e sono soliti accompagnarli  con il fez (o tarbush ), un copricapo di colore rosso che prende il nome dalla città di Fes dove sembra abbia avuto origine, e con le tradizionali babbucce gialle che qui vengono chiamate "belgha".
Le donne invece scelgono tuniche più colorate, più strette e con decori preziosi accompagnando a volte l’abito con una sciarpa al collo.
Il cappuccio è di importanza basilare per entrambi i sessi, protegge  dal sole e dalla sabbia portata dai venti forti del deserto.
La djellaba estiva è confezionata in cotone , mentre per i mesi più freddi viene usata la lana generalmente raccolta dalle pecore che vivono nelle montagne circostanti e solo dopo un lungo processo di lavorazione trasformata nel  filato che verrà poi tessuto.
La popolarità della djellaba si spiega con il fatto che  copre quasi tutto il corpo ed è coerente con i principi dell'Islam per modestia e umiltà, si indossa sia quotidianamente che nelle grandi occasioni.

illustrazione : http://www.russell-gallery.com


sabato 28 agosto 2010

una storia sufi

Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo.
Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne.
L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore, mentre il proprietario pensava al da farsi.
Finalmente il contadino prese una decisione crudele: concluse che l'asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo bisognava chiuderlo.
Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l'animale dal pozzo.
Al contrario chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l'asino.Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo.
L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo con lui e pianse disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase quieto.
Il contadino alla fine guardò verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide.
Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra.
In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l'asino riuscì ad arrivare fino all'imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando.


Ricorda le cinque regole per essere felice:
1- Libera il tuo cuore dall'odio
2- Libera la tua mente dalle preoccupazioni.
3- Semplifica la tua vita.
4- Da'di più e aspettati meno.
5- Ama di più e... accetta la terra che ti tirano addosso, poiché essa può costituire la soluzione e non il problema

domenica 1 agosto 2010

Il tè alla menta



Il tè ( in arabo “shai”) è una tradizione antica in tutti i paesi arabi: una filosofia più che una bevanda, che si consuma al caffè con gli amici, passandosi il narghilè, oppure a casa con la famiglia, anche in occasione dei momenti di preghiera, seduti su cuscini sistemati sopra un tappeto, davanti al tipico tavolino basso detto mida.
Tradizione vuole che se ne bevano  tre bicchieri di fila: il primo amaro come la morte, il secondo forte come la vita, il terzo dolce come l'amore. Altre fonti danno un'interpretazione diversa dei tre significati:amaro come la vita, dolce come l'amore, soave come la morte.
Spesso, e non a sproposito, il tè arabo è assimilato al tè verde; in effetti questo è il tipo più diffuso nell'area mediterranea dal Marocco alla Libia; i Tuareg invece prediligono il tè cinese a cui aggiungono foglie di menta. Tale accorgimento è comune anche a tutte le altre popolazioni maghrebine, fatta eccezione per la Tunisia dove viene spesso impiegata un'altra pianta aromatica chiamata attarshìa comunemente sostituita, laddove non disponibile, con il geranio profumato.
La preparazione del tè  è una cerimonia molto affascinante e segue una precisa coreografia che presenta alcune sostanziali differenze a seconda della regione geografica. L'infuso può essere preparato direttamente nella teiera, mischiando acqua calda, foglie di tè e zucchero, oppure portato in ebollizione in un normale pentolino e poi versato nella teiera per essere servito con un gesto molto teatrale, lasciandolo cadere dall'alto, con grande precisione, per ottenere uno strato di schiuma bianca.
E' consuetudine comune in tutti i paesi servire il tè molto caldo, molto ristretto e presentato in bicchierini piccoli decorati con arabeschi, smaltati o filigranati, su vassoi di rame o di ottone, cesellati o martellati altrettanto finemente e con particolari teiere arabe. La cerimonia prevede inoltre che il tè sia accompagnato da tipici dolcetti nordafricani o frutta secca.


Sopra: pubblicità del "Tè Sultano" da una rivista marocchina.

martedì 13 luglio 2010

Vedere lucciole per lanterne


Gli Arabi antichi, di notte, accendevano nelle loro tende un lumicino tanto piccolo che illuminava appena. Avevano poco grasso e dovevano farne economia. Quando invasero l'Egitto, un gruppo di soldati si trovò, di notte, di fronte ad uno sciame di lucciole, che in quel paese sono di non comune grandezza. I soldati, che vedevano per la prima volta simili insetti, ebbero la sensazione di trovarsi di fronte ad uno sterminato esercito che avanzava contro di loro al lume di minuscole lanterne e... Coraggiosamente fuggirono. Da allora si dice che uno « vede lucciole per lanterne » se scambia una cosa per un'altra.

martedì 22 giugno 2010

La poesia palestinese di Mahmùd Darwish


Carta d'identità

Scrivi!
Sono un arabo
carta d'identità numero cinquantamila
ho otto figli
e il nono arriverà... dopo l'estate.
Ti arrabbi?

Scrivi!
Sono un arabo
lavoro con i miei compagni di fatica
in una pietraia
ho otto figli
per loro cavo la pietra
per un tozzo di pane,
gli abiti e i quaderni
e non vengo a mendicare alla tua porta
e non mi abbasso
davanti al lastricato della tua soglia.
Ti arrabbi?

Scrivi!
Sono un arabo
un nome senza titoli
sono paziente in un paese
pervaso da fremiti di rabbia
le mie radici...
fissate prima che nascesse il tempo
prima che avessero inizio le ere
prima del cipresso e degli ulivi
prima che germogliasse la vegetazione.

Mio padre... è della famiglia dell'aratro
e non di una stirpe di signori
e mio nonno un contadino
senza alberi genealogici!
Mi ha insegnato il moto degli astri
prima di leggere i libri.
La mia casa un capanno di guardiano
fatto di rami e canne.
Soddisfatto della mia posizione?
Ho un nome senza titoli!

Scrivi!
Sono un arabo
capelli neri
occhi marroni
segni distintivi:
in testa una kefiah fissata dal cordone
e il palmo rugoso come roccia
raschia la mano che lo sfiora.

il mio indirizzo:
sono di un villaggio lontano, dimenticato
dalle strade senza nome
e tutti gli uomini sono al campo o alla pietraia
Ti arrabbi?

Scrivi!
Sono un arabo
spogliato dalle vigne dei miei avi
e della terra che coltivavo
con tutti i miei figli
e tu a noi non hai lasciato
e a tutta la nostra discendenza
che queste pietre...
le prenderà il vostro governo... come dicono?
Allora!

Scrivi
in cima alla prima pagina
"Io non odio i miei simili
e non aggredisco nessuno.
Ma... se avessi fame
mangerei la carne del mio usurpatore.
Attento sta' attento
alla mia fame
e alla mia rabbia!"


domenica 30 maggio 2010

Tin Hinan- la regina dei tuareg


C’era una volta in  un pacifico regno nel sud del Marocco, una regione (che oggi si chiama Tafilalet)  dove vivevano un re, una regina e la loro bellissima figlia, la principessa Tin Hinan (tin heinan “quella delle tende”). La pace però non durò a lungo…. Un giorno infatti giunse nel regno un pretendente al trono che imprigionò i reali e costrinse alla fuga Tin Hinan. Accompagnata dalla fedele ancella Takamat, in sella ai cammelli, intraprese un viaggio pieno d’insidie e di pericoli , peripezie e prove di solidarietà, ingegno e astuzie tipicamente femminili che la condusse infine, all’oasi di Abalessa, nella regione dell'Ahaggar, in un'epoca in cui la regione era abitata dagli Isebeten, un popolo povero, che non conosceva ancora la civiltà...   Tin Hinan insegnò loro a scrivere, a lavorare l’argilla, a tessere stoffe e tappeti colorando la lana delle pecore con sostanze prese dalla terra e dalle piante e in questo nuovo ambiente gettò le basi del suo nuovo regno dando origine al popolo dei Tuareg, che ancora oggi, in omaggio alla propria antenata, attribuisce alle donne un ruolo importantissimo nella famiglia e nella società.
E Tin Hinan ebbe sette figli e tre figlie che regnarono dopo di lei.... 
Alla sua morte fu sepolta vicino all’oasi.
Ogni uomo o donna tuareg che passava davanti alla tomba vi depose una pietra in segno di rispetto e poco a poco si formò un colossale monumento megalitico, noto come édebni,  alto 30 metri,  che si può vedere ancora oggi  ad Abalessa, non lontano da Tamanrasset: i Tuareg li considerano le tombe degli Ijabbaren, la popolazione dei giganti dell'antichità.
Ed ancora oggi tra i tuareg, sotto il cielo pieno di stelle, si racconta l’avventura di Tin Hinan e Takamat, le due donne che sfidarono il deserto ….

lunedì 10 maggio 2010

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: thobe




L’abbigliamento degli uomini del Golfo Arabico, è caratterizzato da una lunga tunica bianca a forma di camicia (sempre miracolosamente immacolata!!) che prende il nome di thobe (in arabo ثوب ) e significa “abito”. Il suo nome però cambia a seconda delle regioni in cui viene indossata; negli Emirati Arabi infatti è denominata "kandoura" e nel medio oriente arabo,"dishdashah".
Tale indumento è solitamente di cotone bianco  in modo da  riflettere meglio la luce solare, mentre in inverno è lavorato in tessuto più pesante come la lana ed ha colori più scuri come il marrone e il grigio. Per completare il loro abbigliamento, gli uomini indossano un minuto copricapo semirigido (Kufeya o Taqiyah) a cui sovrappongono il "ghutrah", tipico foulard di cotone che viene piegato diagonalmente in modo di ottenere un triangolo. Generalmente il "ghutrah" è bianco, ma può essere anche bianco/nero o bianco/rosso e in questi casi assume nome diversi come "kefiah" e "shumagh". Questi foulard proteggono la testa dai raggi solari e possono essere usati anche per coprire la bocca ed il naso durante le tempeste di sabbia o il tempo freddo.
Per meglio fermare il "gutrah" si utilizza "l’igal," una doppia corda nera fatta generalmente di lana di pecora tinta e strettamente tessuta. Il "taqiyah "viene indossato in Egitto e in Sudan da solo senza il gutrah e viene chiamato anche "chachiyat".


venerdì 16 aprile 2010

La fonte della libertà.....


     Calligraphie © Hassan Massoudy

                                     

                      La fonte della libertà è nel coraggio( Pericle)


                    The origins of freedom are in courage. (Pericles)   
                    La source de la liberté est dans le courage.(Pericles)
                    La fuente de la libertad esta en la valentia. (Pericles)

 


  

giovedì 25 marzo 2010

"Hakawati- il cantore di storie" di Rabih Alameddine

Una storia racconta....

C’era una volta un povero pastore che viveva in un villaggio sulle montagne. Era talmente povero che non riusciva a sfamare i suoi figli e il più delle volte la famiglia andava a letto senza cena. Una notte aveva una tale fame che sognò Beirut, la città del pane e della prosperità. Decise di andare in città in cerca di fortuna. Non perse neanche un minuto, preparò il fagotto e si incamminò alla volta di Beirut. Deciso a trovare lavoro, parlò con ogni mercante, muratore, capomastro, fornaio, cuoco e orologiaio della città. Pregò che lo assumessero, ma nessuno lo volle. Ci riprovò il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, ma senza risultato. Come riuscire a fare fortuna? Una settimana dopo non aveva trovato ancora nulla. Era affamato come non mai e più solo di quanto avesse immaginato. Stanco morto, quando fece buio entrò in una moschea e si stese sul tappeto per dormire. Ma nel cuore della notte i poliziotti lo svegliarono, lo massacrarono di botte e lo portarono in prigione. Si presentò davanti ad un giudice, che gli chiese perché fosse entrato di nascosto nella moschea. Il pastore raccontò del sogno, ma il giudice rimase indifferente e lo condannò a tre giorni di galera.” Solo gli stupidi credono ai sogni” disse il giudice. “La notte scorsa ho sognato un tesoro sepolto sulle montagne, in un campo in cui due sicomori, due querce  e un pioppo proiettano ombre che si muovono come uomini danzanti. Mi hai per caso visto lasciare il lavoro per cercare il tesoro del sogno?”  Il pastore passò tre notti in prigione. Quando lo rilasciarono, tornò a casa di corsa e cercò il famoso campo in cui due sicomori, due querce e un pioppo proiettavano ombre che si muovevano come uomini danzanti, il campo in cui aveva pascolato il suo gregge per tanti anni. Trovò il tesoro sepolto, diventò ricco, sfamò finalmente la famiglia e da quel momento si addormentò ogni notte sazio e felice.

* hakawati è un narratore di racconti, miti e leggende (hekayat) è colui che racconta, che intreccia storie tenendo con il fiato in sospeso chi lo ascolta.....
* hakawati deriva dal libanese haki che significa dialogo o conversazione

domenica 7 marzo 2010

Proverbio arabo ( Abu Dhabi )


                                              Delle tribù gli uomini sono la lana,
                                       ma son le donne a tesserne la trama
.


        8 marzo festa della donna:
          Auguri a tutte le donne

illustrazione:http://www.goodallartists.ca/images2.htm

domenica 14 febbraio 2010

La poesia araba di Nizar Qabbani


                                                     L'amore mio
                                                     mi chiede:
                                                    "qual è la differenza
                                                      tra me e il cielo?"

                                                      La differenza
                                                      è che
                                                      se tu ridi
                                                       - amore mio-
                                                      io dimentico il cielo.


illustrazione: http://www.farid-benyaa.com/

lunedì 25 gennaio 2010

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: burnous / selham


Simbolo di fortuna, ricchezza, autorità e potere, il burnous è uno degli elementi  principali del costume magrebino. Tutti i marocchini infatti, che godono di una certa  agiatezza portano il burnous (o selham come lo chiamano loro) sia in occasione di  particolari cerimonie ufficiali o familiari, che durante l’inverno per proteggersi dal freddo.
In questa stagione, infatti, le persone ricche ne indossano  anche due, uno sopra l’altro, in lana bianco e in tessuto più pesante blu o nero. Si presenta come una sorta di mantella  che arriva sino a metà polpaccio completata da un ampio cappuccio quadrangolare, spesso tessuti in un solo pezzo. Una cucitura, talora ornata da un gallone o da un bordo di passamaneria  chiude il cappuccio ; un’altra guarnizione applicata o lavorata ad ago riunisce le due falde della mantella all’altezza del petto.L’uso del burnous ne fa anche un simbolo di protezione:”mettere qualcuno sotto l’ala del proprio burnous” ( jnah al- barnous) significa che colui che si mette viene protetto dal proprietario del burnous. A volte nel giorno delle nozze il suocero mette la nuora sotto la falda del proprio burnous per farle varcare la soglia della sua nuova casa. Ciò significa che egli sarà il suo protettore nella nuova famiglia, le farà da padre. Infine è bene sapere che il bournous può di per sé rappresentare il musulmano. Un proverbio arabo afferma in modo tassativo che “ un musulmano senza il suo burnous è come un cane senza coda”!!!!

venerdì 1 gennaio 2010

Storia di uno scemo derubato del somaro



Si racconta che uno scemo se ne andava per la strada tenendo in mano la cavezza del suo somaro e tirandoselo dietro. Lo videro due imbroglioni, e l'uno disse al compagno: - Io porterò via il somaro di quell’uomo! - E come farai? - Seguimi e vedrai -. Lo seguì, e l'imbroglione si avvicinò al somaro, gli tolse la cavezza, consegnò il somaro al compagno e si infilò la cavezza sulla testa mettendosi a camminare dietro allo scemo finché fu sicuro che il compare se n'era andato con la bestia; allora si fermò.
Lo scemo lo tirò per la cavezza, ma non si mosse; allora si voltò, vide la cavezza sulla testa di un uomo e gli disse: - E tu chi sei? - Rispose: - Io sono il somaro tuo, e questa è la mia meravigliosa storia: ho una vecchia madre pia; un giorno mi presentai a lei ubriaco, ed essa mi disse: “Figlio mio, pentiti e domanda perdono all'Altissimo di questa trasgressione!” Io presi il bastone, la colpii ed essa mi maledisse. Allora l'Altissimo mi trasformò in un somaro e mi fece cadere nelle tue mani, e sono rimasto con te tutto questo tempo. Oggi però mia madre si è ricordata di me, Iddio ha ispirato al suo cuore di rimpiangermi, essa ha pregato per me, ed ecco che Iddio mi ha restituiti la forma umana perduta.
Disse quel tale: - Non c'è forza né potenza fuorché in Dio, l'Altissimo, l'Eccelso! Che Dio ti benedica fratello; assolvimi di tutto quel che ti ho fatto, cavalcandoti e così via! - L'imbroglione andò per la sua strada e lo scemo a casa sua, abbrutito dall'afflizione e dall'affanno. Gli disse la moglie: - Che cosa ti è successo e dov'è il somaro? - Le rispose: - Tu non sei informata del caso di questo somaro, ora te lo spiegherò io, - e le raccontò la storia.
La moglie esclamò: - Poveri noi, che castigo avremo da Dio! Come mai per tutto questo tempo ci siamo serviti di una creatura umana per somaro! - Poi distribuì elemosine e invocò il perdono di Dio, mentre il marito rimase un certo tempo in casa, disoccupato, finché la moglie disse . - Fino a quando te ne starai tappato in casa senza lavorare? Va' al mercato, compriamoci un altro somaro e servitene per lavorare! - Andò alla fiera, si fermò accanto ad un somaro, ed ecco che era proprio il somaro suo, messo in vendita! Lo riconobbe, gli si avvicinò e parlandogli all'orecchio gli disse: - Disgraziato del malaugurio! Sicuramente tu sei rincasato nell'ubriachezza e di nuovo hai bastonato tua madre! Ma io per me non ti ricomprerò mai più! - Lo lasciò lì e se ne andò.

tratto da " le mille e una notte"

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