giovedì 10 dicembre 2020

10 parole italiane di origine araba



A partire dal VII secolo, gli Arabi conquistarono il dominio di buona parte dei territori affacciati sul Mediterraneo e influenzarono  sotto molti aspetti le culture locali, generando un’affascinante mescolanza di usi e costumi. Contribuirono anche a plasmare le lingue di molti dei Paesi con cui entrarono in contatto, tra cui l’Italia e molte parole che utilizziamo comunemente sono di derivazione araba.
Eccone alcune.
_Algebra
Il termine algebra deriva dall’arabo al-giabar, che significa “il rimettere a posto”, “la riduzione di una frattura” o “la ricostruzione”. Gli storici ritengono che a dare i natali all’algebra sia stato il matematico e astronomo, originario della Persia, Muḥammad Ibn Mūsā al-Kuwarizmi(dal cui nome deriva anche la parola "algoritmo") il quale scrisse un libro dal titolo "
Ilm al-giabar wa al-muqaabalah" (La scienza della riduzione e della comparazione): uno dei primi libri di algebra araba, che conteneva un'esposizione sistematica della teoria fondamentale delle equazioni, completa di esempi e dimostrazioni.
_Zero/cifra
I numeri che utilizziamo comunemente vengono definiti numeri arabi. Lo zero, che non esisteva in epoca romana, deriva dalla latinizzazione dell’arabo aṣ-ṣifr che significa “nulla”. Da diverse traduzioni latine di questa stessa radice etimologica è derivato anche il termine cifra.
_Ammiraglio
La parola ammiraglio, oggi utilizzata come titolo per indicare il massimo grado della Marina Militare, deriva dall’arabo amīr al-baḥr che letteralmente significa “comandante del mare” o “principe del mare”.
_Dogana/divano
Anche la parola “dogana” discende direttamente dall’arabo, nello specifico dal termine dīwān che significa “ufficio, registro” e da questa parola deriva anche “divano”: tradizionalmente, infatti, negli uffici amministrativi si lavorava seduti su panche coperte da cuscini. Più tardi, nel XVII secolo, il divano entrò a far parte anche dell’arredamento degli ambienti di rappresentanza delle case signorili.
_Zafferano
Lo zafferano, originario dell’Asia Minore ed è utilizzato in tantissime ricette della cucina mediterranea. Il termine è una derivazione diretta della parola araba “zacfarān” che indicava la pianta del croco, utilizzata proprio per la produzione di questa spezia pregiatissima.
_Sciroppo
Il termine sciroppo deriva dall’arabo sharāb, che significa “bevanda”. L’associazione con lo “sciroppo per la tosse” è quasi automatica, ma in realtà con questa parola si intende qualunque soluzione dolce di acqua, zucchero e frutta!
_Taccuino
Taccuino deriva dall’arabo taqwīm e significa “riorganizzazione, sistemazione”.
La latinizzazione del termine, “tacuinum”, nel Medioevo fu largamente utilizzata per indicare una raccolta di prescrizioni mediche e igieniche di derivazione araba (il tacuinum sanitatis).
_Limone
Limone deriva dal termine arabo-persiano laymūn. Le prime piante di limone erano raffigurate già in dipinti di epoca romana, ma è solo con l’avvento degli Arabi che, dal X secolo, abbiamo traccia delle prime descrizioni letterarie di questo frutto, la cui pianta era utilizzata anche come ornamento.
_Alcool
il termine deriva dall’arabo kuḥl, una particolare polvere che, mescolata con acqua, si utilizzava in Oriente per tingere di nero sopracciglia, ciglia e palpebre. Gli alchimisti europei estesero poi l’utilizzo di questa parola, indicando con “alcol” ogni tipo di sostanza impalpabile (del resto, l’alchimia e la chimica non sono altro che derivazioni dall’arabo al-kīmiyā’!). Il vero “autore” del vocabolo alcol fu però Teofrasto Paracelso, che per primo associò il termine allo spirito di vino, chiamandolo alcohol vini; questa nuova denominazione passò a poco a poco anche a chimici e medici, che la estesero e finirono con l’omettere la parola “vini”.
_Almanacco
Gli Arabi, è risaputo, erano anche sapienti astronomi. Il termine al-manāḫ, “il clima”, indicava uno specifico tipo di tavole astronomiche studiate in modo da poter ricavare, per qualsiasi giorno dell’anno, la posizione del sole e della luna nel firmamento. Ad oggi, questa parola ha esteso di molto il proprio significato: spesso è utilizzata per indicare diversi tipi di annuari, che generalmente contengono dati statistici di vario tipo.  

lunedì 19 ottobre 2020

Abbigliamento arabo tra passato e presente: il pakol

Pakol è il berretto tipico usato dalla maggior parte della popolazione di Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan e Tajikistan. Il nome afgano è pawkul. Nel 1980 viene indossato dall'afgano Mujahideen come simbolo nella lotta contro i russi. Il capo dell'alleanza nordica Ahamed Shah Massod (Massud) ucciso nel 2001 eroe degli afgani del nord, ne ha facilitata la diffusione. E’ fatto con lana di agnello , ed è un cilindro con alla sommità una parte tonda, la "superficie laterale", del cilindro viene arrotolata verso l'alto e come una ciambella , posizionata sotto la parte tonda. D'inverno la ciambella viene srotolata verso il basso per coprire e difendere le orecchie dal freddo. I colori più diffusi, sono il marrone , il grigio, il verde.

venerdì 18 settembre 2020

Conoscere i tuareg: le caste

Il sistema sociale dei tuareg è organizzato in caste; ha una struttura piramidale con a capo l ‘ Amenokal, il capo di tutte le tribù. Seguono i nobili (Imajeghan), i pastori (imghad), la classe religiosa (ineslimen), gli artigiani (enaden) e infine gli schiavi (harratini) per lo più provenienti dalla regione sudanese.La divisione in classi è molto rigida.La classe dei nobili si distingue per il velo che non tolgono mai dal viso; la loro principale attività è il commercio a dorso di dromedario sulle piste del Sahara. In tempi passati furono anche terribili predoni e guerrieri.Gli schiavi sono di razza negroide, discendenti dei popoli che abitavano il deserto quando era ancora una verde savana o prigionieri di guerra. In genere vivono nelle oasi e si dedicano all’artigianato e all’agricoltura.Fra i nobili, la casta degli “imohar” comprende i più grossi proprietari di mandrie ed è quella che decide le sorti dell’intera tribù.Il potere religioso è nelle mani dei “marabutti” o santoni, gli “ineslimen.”La classe dei “vassalli”, “imrad”, è costituita dai cosiddetti servi, cioè da quelli che hanno il compito di prendersi cura del bestiame.L’artigianato è praticato nell’hoggar (oasi) dalle donne, sotto la tenda, oppure dai domestici e dagli uomini; ma esiste anche un artigianato professionale svolto da una casta particolare, gli “enaden”. Anticamente fabbricavano le armi: la spada, la lancia, il giavellotto, il pugnale. Oggi fabbricano soltanto qualche coltello che serve a sacrificare animali o a radere la barba e un arnese di ferro chiamato “iremdan” composto da una lama, una lesina, una pinza.La lavorazione del legno, che un tempo era molto attiva, sta scomparendo e gli utensili ora sono fatti di alluminio o di plastica.I "fabbri" sono i grandi orefici del deserto. Lavorano solamente l'argento e il rame.I gioielli che fabbricano sono: grossi ciondoli, orecchini, anelli, braccialetti.

lunedì 24 agosto 2020

Zagora


Situata all’estremo sud del Marocco ( e per questo chiamata anche “la porta del deserto”), questa cittadina sorge su un picco roccioso e domina l’intera vallata del Draa. Dopo Zagora, infatti, c’è un’immensa distesa di rocce scolpite dai venti del Sahara, e alla fine della sua strada principale si può leggere un cartello con scritte queste parole:”Timbuktu, 52 giorni” che è il tempo necessario per un viaggio in cammello fino alla città del Mali.

martedì 7 luglio 2020

Detto persiano


                           Non dar peso al fatto che il pepe è piccolo;
                                     considera quanto è piccante.

domenica 31 maggio 2020

Shirin e Farhad: una leggenda iraniana.



Nel VII secolo d. C., prima che gli Arabi arrivassero e portassero con sé l'Islam, viveva in Iran una ragazza giovane e bellissima di nome Shirin. La famiglia di Shirin era molto ricca e conosciuta e l'intero Paese cantava la bellezza unica e la grazia impareggiabile della giovane. 
La sua fama raggiunse le orecchie del sovrano, re Khosro Parviz, il Vittorioso, ultimo discendente della dinastia dei Sassanidi, che incuriosito, fece convocare Shirin e suo padre. Rimasto abbagliato dall'indicibile bellezza della ragazza, la chiese in sposa, pur avendo già una moglie, Maria, principessa bizantina, figlia dell'Imperatore Maurizio Tiberio e per non infrangere le regole, il sovrano decise di celebrare in segreto il matrimonio con la bella Shirin.
In attesa del giorno della cerimonia, il re strappò la sfortunata prescelta, dall'amore della sua famiglia e la tenne prigioniera nelle segrete di un castello lontano. Nella sua prigionia, l'infelice Shirin si sentì sola e triste, separata per sempre dalla sua famiglia, rinchiusa nel buio e nel segreto più vergognoso di un matrimonio fuorilegge e senza amore.
Un giorno, re Khosro Parviz ordinò che nel castello segreto fossero costruite delle statue per renderlo più grandioso e degno di un sovrano Vittorioso. Un giovane scultore di nome Farhad fu subito inviato al palazzo segreto e incominciò a scolpire su una lunga rampa di scale che portava alla torre dove Shirin stava rinchiusa. Udendo il canto tristissimo di una donna proveniente dalle scalinate della torre, Farhad salì in cima e si accorse che una ragazza meravigliosa era prigioniera e sola in una grande stanza triste. Subito si innamorò di Shirin, della sua voce, del suo volto, del suo cuore prezioso che aveva bisogno di essere custodito e salvato. 
Rivelatosi alla giovane, Farhad si recò da lei ogni giorno e anche Shirin si innamorò perdutamente di lui.
Scolpì le statue ordinate dal re molto lentamente ma, inevitabilmente il lavoro fu ultimato. Arrivato il giorno della sua partenza dal castello, Farhad non si perse d'animo e osò sfidare re Khosro Parviz per ottenere la libertà di Shirin. 
Il sovrano, adirato per l'affronto subito e impassibile alle richieste dei due innamorati, negò la libertà della principessa. 
La ragazza, addolorata, si ammalò, indebolendosi ogni giorno di più finché il re, spaventato dalla sua fragile condizione, seguendo i consigli di una vecchia strega, concesse una remota e pericolosa possibilità al giovane innamorato. "Se in quaranta giorni riuscirai a scavare l'intera montagna di Bistoon con le tue mani, Shirin sarà libera", proferì.
Farhad partì immediatamente per la città di Kerman, nei pressi della quale si trovava la montagna della sua prova di coraggio e resistenza. Shirin lo attese ogni giorno con grande speranza e timore, ma confidando nel loro amore e nella riuscita dell'ardua impresa. Dal quarantesimo giorno dalla partenza di Farhad la vecchia strega si avvicinò alla principessa e le annunciò beffarda: "Il tuo amato Farhad ha fallito la sua missione, se n'è andato! ti ha abbandonata!". La ragazza non riusciva a credere alle parole della strega ma Farhad non tornava e Shirin pianse tutte le sue lacrime del suo cuore.
La strega, allora si recò subito a Kerman con un losco e menzognero intento: annunciare pubblicamente la morte della principessa Shirin. La popolazione intera pianse la morte improvvisa della bella Shirin, ignara del terribile inganno inscenato dalla malvagia strega. 
Ma anche Farhad, stremato dalla fatica di aver compiuto l'impossibile impresa in quaranta giorni e quaranta notti, giunse in città e  la tragica notizia sul destino crudele della sua amata giunse subito a lui. Accecato dalla disperazione e dalla sofferenza, Farhad incontrò la morte proprio su quella montagna da lui con così tanta fatica scavata per salvare la bella Shirin. 
Dalla torre nel castello segreto di Khosro Parviz, Shirin udì il subbuglio inquieto proveniente dalla città e venne così a sapere della morte, ahimè reale, del suo eroe Farhad. Solo allora la principessa comprese l'inganno inscenato dalla malefica strega  aiutata dallo stesso sovrano e, con le ultime forze rimastele, si gettò anch'ella nelle braccia cupide della morte, aspirando al Paradiso tanto desiderato per rincontrare là il suo Farhad e restare per sempre insieme, liberi dalle prigioni in cui la vita li aveva rinchiusi.

sabato 9 maggio 2020

Conoscere i Tuareg: le confederazioni.


I Tuareg sono divisi in cinque grandi gruppi ripartiti in alcuni paesi dell’area sahariana, nel sud del Maghreb, in Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. 
I Kel Ajjer vivono nella parte occidentale della Libia e orientale dell’Algeria; la capitale della confederazione è Ghat e parlano la lingua Tamahaq. 
I Kel Ahaggar, vivono nella regione del massiccio dell’Ahaggar, nel Sahara algerino. La confederazione fa risalire la sua fondazione a Tin Hinan, semi-leggendaria progenitrice dei Tuareg vissuta attorno al IV secolo, ma fu istituita ufficialmente attorno al 1750. È stata in gran parte sterminata, nel 1977, dal governo algerino. 
I Kel Ayr, abitano nel massiccio montuoso dell'Aïr che si trova nel nord del Niger. Essi sono nigerini con espansione in Nigeria e anche in Ciad. La principale divisione interna è tra Kel Ewi, e Kel Gress. 
Gli Iullimmiden o Oullimmiden, stabilitesi nella regione di Gao, in Mali, hanno ramificazioni in Niger e nel Burkina Faso. Da essi si sono distaccati i Kel Dinnik e i Kel Adrar anche conosciuti come Kel Ifoghas. Inoltre vi sono a nord dell’Algeria e a sud del Mali i Kel Tamajaq, la cui espansione è stata contenuta da altri nomadi del Sahara come i kunte, marocchini e altri. 
E per finire i Tenguereguif stabilitisi nella zona di Timbuctù, noti anche come tuareg sudanesi. Le cinque confederazioni non erano unite da alcun legame politico stabile, anche se erano frequenti le intese militari se si dovevano difendere da un nemico comune o dall’attacco di altre tribù. Solo in concomitanza dell’arrivo dei francesi si ebbero alleanze tra intere confederazioni, ma non si giunse a un’unificazione dell’insieme Tuareg, infatti il loro temperamento anarchico ha fatto si che essi non abbiano mai costituito una sola nazione, nonostante si attribuiscano una stessa origine. La società tuareg ha una struttura complessa e stratificata, che ricorda la società feudale.

mercoledì 22 aprile 2020

Le regole del Ramadan


Durante il Ramadan, la cui celebrazione avviene il nono mese del calendario islamico, i musulmani devono rispettare alcune regole molto importanti dettate dal Libro Sacro: il Corano. Queste regole servono per insegnare la pazienza, l'umiltà, l'autocontrollo e la spiritualità.
    - La preghiera notturna: il Taraweeh
Durante tutto il mese di Ramadan, oltre alle consuete cinque preghiere quotidiane,  si deve recitare una preghiera speciale il Taraweeh, la preghiera notturna.
    - Divieti e tempi delle pratiche a cui astenersi durante il Ramadan
Il primo divieto è il digiuno che inizia all'alba e termina dopo il tramonto. Non bisogna mangiare o bere nulla durante le ore di luce, inoltre non bisogna mentire, fumare, usare un linguaggio scurrile, fare la guerra e astenersi dai rapporti sessuali.
    - Chi è esentato dal digiuno durante il Ramadan
Il Corano prevede che siano esentati i bambini, le persone malate nel caso il digiuno arrecasse ulteriori danni alla salute, le persone che prendono medicinali e che non possono rimandare alla sera, gli anziani il cui stato fisico non permette il digiuno, chi fa un lavoro duro e di conseguenza potrebbe farsi male digiunando e chi deve fare un lungo e faticoso viaggio. Sono esentate anche le donne in attesa di un figlio e quelle in fase di allattamento o che hanno il ciclo mensile.
    - Cosa succede se non si rispetta il digiuno
Se una persona non è in grado di digiunare può decidere se recuperare i giorni di digiuno durante l'anno, prima dell'arrivo del prossimo Ramadan o se dare un pasto a un povero per ogni giorno di digiuno non rispettato.
    - Come viene recitato il Corano nelle preghiere collettive
Il Corano è diviso in 30 parti uguali chiamate juz' e molti fedeli ne leggono una al giorno per l'intera durata del mese sacro.
     - Cosa si mangia al termine del digiuno
Dopo aver recitato una brevissima preghiera, si mangiano datteri o si beve acqua come faceva il Profeta Maometto. Segue poi un pasto abbondante da consumarsi durante le ore notturne.
     - Cosa si fa alla fine del Ramadan
Alla conclusione del mese sacro viene indetta una festa chiamata Eid al Fitr, durante la quale i musulmani partecipano alle processioni,si scambiano regali augurandosi "Eid mubarak" ovvero "buon Eid" e si fanno doni ai poveri.
     - Cosa succede se non si rispettano le regole
Se qualcuno, di propria volontà, contravviene a qualche regola, ha obbligo di carità verso i bisognosi o continuare l'astinenza dai divieti carnali dall'alba al tramonto per altri 60 giorni dopo il Ramadan.



martedì 24 marzo 2020

Chefcheouen, la perla blu.



Chefchaouen (pronuncia Shafshāwan) si trova nel nord-ovest del Marocco, nella regione di Tangeri-Tetouan-Al Hoceima.  È detta" la città blu" perché tutti gli edifici, le porte, le finestre, le fontane e le strade sono dipinte nelle diverse tonalità di azzurro. Anche la medina, la città vecchia, è un dedalo di vicoli lunghi e stretti colorati di azzurro. In origine era una piccola kasbah, fu fondata nel 1471 da Ali ibn Rachid al-Alami per accogliere i profughi ebrei e musulmani cacciati dalla Spagna. L'ingresso in città rimase a lungo vietato ai cristiani, fino al 1883 quando padre Charles de Foucauld lo infranse. Nel 1920 la Spagna occupò la città e la aggiunse ai suoi domini, fino a che la restituì al Marocco nel 1956, a seguito della sua indipendenza. 
Nessuno sa perché i muri sono dipinti di blu "nila" (in arabo): qualcuno dice che il blu è stato introdotto dagli ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste e accolti in città negli anni '30, per donare alla città il colore del paradiso. Gli abitanti di Chefchaouen hanno idee diverse: per allontanare le zanzare... per ricordare il Mediterraneo lontano una trentina di km .. in omaggio alla fonte Ras El-Maa che alimenta la cittadina ... per riposare gli occhi quando il sole è alto ... per fare come fanno tutti .......

giovedì 20 febbraio 2020

Detto turco


              Se infili la coda di un cane in una canna anche per quaranta giorni
                                                    non si raddrizzerà.

venerdì 31 gennaio 2020

La poesia palestinese di Mahmud Darwish.

Potete legarmi mani e piedi


Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane,
luce dei miei occhi,
sarà scritta con le unghie,
con lo sguardo
e col ferro.
La canterò nella cella della mia prigione
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me milioni di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.

Mahmud Darwish

venerdì 10 gennaio 2020

II racconto delle sabbie




Nato da remote montagne, un fiume solcò molte regioni per raggiungere finalmente le sabbie del deserto. Provò a superare questo ostacolo così come aveva fatto con gli altri, ma si accorse che, man mano che scorreva nella sabbia, le sue acque sparivano.
Era convinto, tuttavia, che era suo destino attraversare quel deserto, eppure non ci riusciva ... Fu allora che una voce nascosta, proveniente dal deserto stesso, mormorò: "II vento attraversa il deserto; il fiume può fare altrettanto".
Il fiume obiettò che, sebbene si lanciasse contro la sabbia, l'unico risultato era di essere assorbito, mentre il vento poteva volare e, quindi, attraversare il deserto.
"Lanciandoti nel tuo solito modo, il deserto non ti permetterà di attraversarlo. Potrai solo sparire o diventare una palude. Devi permettere al vento di trasportarti fino a destinazione". "Ma com'è possibile?".
"Lasciandoti assorbire dal vento".
Era un'idea inaccettabile per il fiume. In fin dei conti, non era mai stato assorbito prima d'ora. Non voleva perdere la sua individualità: una volta persa, come essere sicuri di poterla ritrovare?
La sabbia rispose: "II vento svolge questa funzione: assorbe l'acqua, la trasporta al di sopra del deserto, poi la lascia ricadere. Cadendo sotto forma di pioggia, l'acqua ridiventa fiume".
"Come posso sapere che è la verità?".
"È così. Se non ci credi, potrai solo diventare una palude, e anche per questo ci vorranno anni e anni; e, comunque, non sarai più un fiume".
"Ma non posso rimanere lo stesso fiume?".
"In entrambi i casi non puoi rimanere lo stesso fiume", rispose il mormorio, "la parte essenziale di tè viene portata via e forma di nuovo un fiume. Oggi porti questo nome perché non sai quale parte di tè è quella essenziale".
Queste parole risvegliarono certi echi nella memoria del fiume. Si ricordò vagamente di uno stato in cui egli - o forse una parte di sé? - era stato tra le braccia del vento. Si ricordò anche - ma era veramente un ricordo? - che questa era la cosa giusta, e non necessariamente la cosa più ovvia, da fare. Allora il fiume innalzò i suoi vapori verso le braccia accoglienti del vento. Questi, dolcemente e senza sforzo, li sollevò e li portò lontano, lasciandoli ricadere delicatamente non appena raggiunsero la cima di una montagna molto, molto lontana. Ed è proprio perché aveva dubitato, che il fiume poté ricordare e imprimere con più forza nella sua mente i dettagli della sua esperienza. "Sì, ora conosco la mia vera identità", si disse. Il fiume stava imparando. Ma le sabbie mormoravano: "Noi sappiamo, perché lo vediamo accadere giorno dopo giorno e perché noi, le sabbie, ci estendiamo dal fiume alla montagna".
Ecco perché si dice che la via che permette al fiume della vita di proseguire il suo viaggio è scritta nelle sabbie.
/span>

Questa bellissima storia si ritrova in molte lingue nella tradizione orale. Circola quasi sempre fra i dervisci e i loro allievi. È stata usata nella Rosa mistica del giardino del rè, di Sir fairfax Cartwright (pubblicato in Inghilterra nel 1899). Questa versione proviene da Awad Afifi il tunisino, morto nel 1870.


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...