venerdì 12 aprile 2019

La poesia algerina di: Zehor Zerari

Se tu fossi


  Se tu fossi un edelweiss             
  scalerei
  la montagna azzurra
  per coglierti.
  Se fossi un fiore acquatico
  mi tufferei nelle verdi
  profondità sottomarine
  per prenderti.
  Se fossi un uccello
  andrei
  nelle immense foreste
  per ascoltarti.
  Se fossi una stella
  veglierei
  tutte le mie notti
  per vederti, Libertà.




Zehor Zerari ( poeta algerino del '900)

venerdì 15 marzo 2019

Perché si dice "assassino"?




Assassino: deriva dalla parola araba hashishiyya o anche hashshashiyya, che significa letteralmente fumatore di hashish. Il termine fu usato per indicare gli adepti del gruppo ismailita dei Nizariti di Alamut in Persia, che seguivano con obbedienza cieca il loro capo noto come "il Veglio della Montagna". Gli aderenti alla setta avevano costituito una sorta di organizzazione terroristica ante litteram, per realizzare azioni violente e assassini politici in vari paesi del Vicino Oriente. Si dice che, prima di andare a compiere simili imprese, i membri del gruppo si inebriassero, fumando cospicue quantità di hashish: da qui la denominazione, dalla connotazione denigratoria, di hashishiyya che fu loro attribuita. L’uso del termine è stato poi esteso ad indicare l’omicida, senza particolari attributi.

sabato 2 marzo 2019

Tughra

Tughra di Sultan Sulaiman il Magnifico

Tughra era la firma personale o sigillo dei sultani ottomani, usata nei documenti ufficiali e nella corrispondenza del sovrano. Si tratta di uno dei maggiori esempi dell'arte calligrafica araba. La prima tughra di un sultano ottomano è attribuita a Orhan, che governò dal 1326 al 1362 ma nella sua forma classica, si sviluppò durante il regno di Sultan Sulaiman il Magnifico (1494-1566).
Dato che le tughras servivano per firmare e sigillare sono state intenzionalmente rese difficili da leggere e copiare per evitare contraffazioni e garantire l'autorità del sultano.
La tughra doveva avere uno stile e una forma molto particolare. Ci sono numerose teorie su come questa forma sia nata. Alcuni ipotizzano che i primi leader turchi analfabeti avrebbero  fatto immergere i pollici e le prime tre dita nell’inchiostro  per poi riportare le impronte sulla carta, altri ipotizzano che le tre linee alte simboleggiano i tre continenti che gli ottomani controllavano (Europa, Asia e Africa). Qualunque siano le ragioni della sua forma, vi erano delle regole che si dovevano obbligatoriamente rispettare.
La tughra è  costituita da quattro elementi: il sere , la parte inferiore con una serie di lettere impilate che rappresentano il nome del sultano, il nome di suo padre, il suo titolo e la frase "l'eternamente vittorioso”, il tuğ , tre linee verticali, unite in alto da una forma a S , il beyze , due forme circolari concentriche che si estendono verso l'esterno a sinistra. Quello interno è chiamato küçük (piccolo) beyze mentre quello esterno è noto come büyük (grande) beyze. Infine, c'è il kol , un tratto curvo che si  estende dal sere al beyze.
I motivi in ​​stile tughra apparivano anche in altre forme di cultura ottomana, inclusi i manoscritti miniati; oggetti in vetro, metallo e legno, nonché parti di disegni tessili, inclusi i ricami . Le forme ricamate per la corte ottomana erano talvolta lavorate con tecniche di filo d'oro , mentre le forme "minori" potevano essere lavorate a punto raso in sete bianche o colorate e ricamati con alcuni fili di metallo.

venerdì 15 febbraio 2019

La magia bianca


Koubba au Maroc - Marcel Vicaire
Mentre la magia nera è praticata per procurare il male, la magia bianca di solito è praticata per scopi curativi. Il mago o incantatore usa espressioni e frasi come strumenti di magia demonizzati. Pur apparendo come qualcosa che proviene dalla potenza di Dio, la magia bianca è originata dalla potenza di Satana. La magia nera e bianca hanno dunque la stessa origine, vale a dire, il potere demoniaco. Ogni Paese del Nord Africa ha i suoi sepolcri di santoni o “koubba”, meta di pellegrinaggi di persone ingenue che ricercano aiuto e protezione. Pezzetti di lana o tessuto che appartengono alla persona per cui si vuole intercedere vengono lasciati sulla tomba o appesi agli alberi circostanti. Allo stesso tempo si offrono doni al santone. In Marocco le tombe più conosciute sono ad Azemmour e Marrakech, mentre in Algeria, tra le più famose, troviamo le tombe di Sidi Ali Moussa (Mettidja) e Sidi Soliman. Tra l’altro, il re Salomone è considerato dai musulmani come il più grande di tutti i maghi. Il suo nome distorto appare in molti incantesimi in uso in Marocco. Il pentacolo, conosciuto come il sigillo di Salomone, è raffigurato sulla bandiera marocchina. Si dice che per mezzo di un anello che recava inciso il pentacolo, Salomone controllava i demoni che abitavano il suo regno. Per essere più efficace, la contro-fattura deve essere ancora più potente dell’incantesimo che s’intende neutralizzare. A questo scopo bisogna procurarsi degli amuleti speciali dal “taleb”. In Algeria, durante i sette giorni di festeggiamenti nuziali, la sposa indosserà uno di questi amuleti, prima al polso destro poi sotto il copricapo e in infine nascosto nel foulard; tutto questo nel caso si tema sia stata fatta una fattura contro di lei. 
- Quando la madre di una giovane sposa viene a sapere che la figlia ha un nemico, preparerà con cura un incantesimo neutralizzante. In una buca scavata sotto la soglia d’entrata della casa della sposa, si colloca una tartaruga con una piccola quantità di “fasoukh” avvolto in una pezza annodata. La tartaruga è seppellita viva. Quest’incantesimo annulla qualsiasi sortilegio pronunciato contro la sposa. 
- Una madre che abbia il sospetto che il figlio sia rimasto vittima del malocchio (magari per il pianto eccessivo), prenderà una un po’ di sale in mano e la ruoterà per sette volte intorno alla testa del bambino, prima di gettare il sale in un braciere. Il sale scoppietterà: se il crepitio è forte come spari di cannone, la madre saprà che il figlio è sotto l’effetto del malocchio e quindi procederà alla contro fattura. Ruoterà intorno alla testa del bambino sette grani di sale. Un grano è gettato nel tubo di scarico, uno nella latrina e gli altri cinque nel fuoco. La madre poi recita un incantesimo sul sale con queste parole: “Occhio del vicino, occhio di ratto, occhio di colui che entra dalla porta di casa, sii gettato nel fuoco.” 
In alcune parti del Marocco si ricorre ad un altro tipo d’incantesimo come contro-fattura. Una persona, che terrà nascosta la propria identità per ovvi motivi, raccoglierà la polvere o la sabbia dalle impronte fresche del malfattore che si ritiene abbia praticato il malocchio. Questa polvere, raccolta in una borsa, viene poi cosparsa sulla persona, animale o cosa colpita dal malocchio, recitando allo stesso tempo un incantesimo. 

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venerdì 1 febbraio 2019

Il tandoor



Un tandoor  o tandoori  è un forno d'argilla a forma di campana rovesciata o cilindrico.  
Viene usato per cucinare Azerbaigian, Turchia, Pakistan, Afghanistan, India,  Iran, in quasi tutto il Medio Oriente e Asia meridionale. Il forno  contiene un piccolo fuoco alimentato da carbone di legna che brucia alla base del forno stesso. Molti tandoors hanno una porta sul fondo in modo che si possa regolare l'intensità del fuoco dalla quantità di ossigeno.
Il cibo posto all'interno del forno è così esposto sia al calore della fiamma viva, sia al calore irradiato che scalda l'aria, sia al fumo per eventuali affumicature. La temperatura all'interno del forno può raggiungere i 480 °C, ed è pratica comune tenere il forno acceso per lunghi periodi in modo da mantenere la temperatura adatta alla cottura. Il forno tandoor è una sorta di unione tra un forno a terra, o interrato, e un forno piano a muratura. Viene utilizzato nelle cucine mediorientali per cucinare piatti tipici come il Chicken Tandoori o il Chicken tikka, o molte delle varietà di pane locale come il tandoori roti o il naan. Il tandoor è attualmente un'apparecchiatura molto importante presente nei ristoranti indiani di tutto il mondo. Alcune moderne varianti del forno utilizzano l'elettricità o il gas GPL, anziché il carbone, per generare fiamme e calore. In Azerbaigian è conosciuto con il nome di tendir ed è largamente utilizzato come metodo di cottura di grigliate e un pane locale, il lavash.


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

martedì 15 gennaio 2019

Cos’è la zaghroutah ?



La zaghroutah è una forma di suono vocale, tra il canto e l’ululato, che viene praticata dalle donne in tutto il Medio Oriente ed in vari paesi del sub-continente africano. E’ il suono che rappresenta la felicità e l’immensa gioia e viene di solito eseguita in occasione di matrimoni, la sera del henna, per celebrare una nascita, durante le feste folkloristiche, la dabka ed altre celebrazioni.
La storia di questo suono risale ai tempi dell’antica Grecia, dove questa pratica sonora veniva già utilizzata dalla popolazione come espressione di gioia, di festeggiamento o di sacrificio .
Quando una donna vuole eseguire una zaghroutah il primo passo è quello di portare la mano davanti alla bocca, come se la si volesse coprire. Successivamente il suono viene generato facendo oscillare velocemente la lingua ai lati della bocca o dei denti con una sequenza rapida; questa combinazione di movimento crea un suono caratterizzato dal timbro vocale alto e vibrato. L’effetto finale del suono deve risultare una suono simile a “Lolololoolololoeeeey” o “Lolololoolololoeeeesh”.
Il matrimonio, oltre alla notte del henna e la zaffa( processione o marcia nuziale), è uno degli eventi più importanti nel mondo arabo, dove la zaghroutah gioca un ruolo importante nella tradizione folcloristica, specialmente quella palestinese e dei paesi del levante. Assieme alla zaghroutah vengono solitamente associate delle canzoni tradizionali, cantate dalle donne (tramandate da madre in figlia da generazioni) nelle quali la semplice zaghroutah si trasforma in zaghreet (plurale) un’altra importante forma musicale/sonora eseguita solamente dalle donne. Durante il matrimonio solitamente una donna inizia con questo sonoro “Heeey Hee …” o “Aweeha …”, per poi proseguire con una piccola poesia o poche brevi parole in rima e infine in conclusione viene eseguita assieme a tutte le donne una zaghroutah ad alta voce “Lolololoolololoeeeey“. Può risultare per un udito occidentale come un insieme di suoni indecifrabili o urla insensate, ma questa forma antica di suono e di canto popolari palestinese è la testimonianza di un popolo che ha una storia e una radice che risalgono ai tempi dei tempi, una civiltà che non è stata creata solo ‘ieri’ e dal nulla, ed è la conferma che la cultura e le tradizioni sono vive e radicate alla terra madre.


Fatima Abbadi
http://www.anordestdiche.com/come-si-canta-la-zaghroutah/

martedì 1 gennaio 2019

Il matrimonio e “la notte del henna”



In tanti paesi del medio oriente, decorare la sposa con l’ henna fa parte del rito matrimoniale. E’ una usanza che riserva un posto speciale tra gli usi e costumi tramandati; diffusissima in Palestina e in Giordania. Non ci si può sposare senza avere celebrato il giorno prima delle nozze l’attesissima “notte dell’ henna” E’ una cerimonia che coinvolge sia la famiglia della sposa, sia quella dello sposo, anche se però è di più significato per la sposa.
Si inizia partendo dalla casa dello sposo: un gruppo di donne porta sulla testa un vassoio di henna decorato con petali di fiori profumati e candele. Questo vassoio viene passato da donna in donna a turno e tra canti e balli si avviano verso la casa della sposa. Una volta arrivati a destinazione, le donne iniziano a decorare le mani della sposa e dello sposo con l’ henna (a volte si disegnano semplicemente le iniziali di lei e lui), dopodiché lo sposo offre la sposa il mahr (la dote), tutto questo accompagnato da balli, canti e tanta musica tradizionale palestinese.
Durante la notte spesso vengono cantate molte canzoni popolari e folcloristiche. Ne esistono di due tipi: il primo è quello che in arabo si chiama al-mardudeh, che è una sorta di botta e risposta tra il cantante, noto come badda'a (il talentuoso) e il gruppo di donne presenti al matrimonio e si narrano leggende inerenti al giorno del matrimonio, storie della vita quotidiana simpatiche o semplicemente per enfatizzare la bellezza della sposa con l’ henna. Il secondo tipo è noto in arabo come il mhaha, che è una canzone solista eseguita da una delle donne per una ragione particolare e indirizzata a una persona specifica.

domenica 23 dicembre 2018

La poesia araba di Nizar Qabbani.


Lettera da sotto il mare 





Se sei mio amico…
aiutami a lasciarti.
Se sei il mio amante…
aiutami a guarire da te.
Se avessi saputo che l’amore era così pericoloso…
non avrei amato.
Se avessi saputo che il mare era così profondo…
non avrei navigato.
Se avessi saputo quale sarebbe stata la mia fine…
non avrei iniziato.
Ti desidero,
insegnami a non desiderare…
Insegnami
come sradicare dal più profondo le radici del tuo amore…
Insegnami
come le lacrime muoiono negli occhi…
Insegnami
come muore il cuore…e come si suicidano le passioni.
Se sei profeta,
liberami da questo incantesimo, salvami da questa miscredenza.
Il tuo amore è blasfemia,
purificami…
Se sei forte…
portami via da questo mare in tempesta…
io non so nuotare
e le onde azzurre nei tuoi occhi…mi trascinano verso l’abisso.
Io non ho esperienza nell’amore,
e non ho neanche un battello.
Se ti sono così cara, allora…prendimi la mano.
Io sono innamorata dalla testa ai piedi.
Io respiro sott’acqua…
Io annego…
annego…
annego…


Nizar Qabbani 

sabato 1 dicembre 2018

La magia nera


magia nera nell'antico Egitto
Moltissimi sono i musulmani che ricorrono alla magia: bianca per prevenire o cautelarsi dal malocchio o dalle maledizioni, nera per procurare il male. In Nord Africa, la gente comune può frequentare liberamente gli stregoni, che non sono perseguibili per legge. Si trovano prevalentemente tra le categorie dei macellai, delle levatrici e delle donne che si occupano del lavaggio dei cadaveri. Tra gli oggetti usati per incantesimi e contro incantesimi, ci sono amuleti, spille, orecchini e una varietà di oggetti, alcuni assai ripugnanti, come ossa, piume, pipistrelli, scarafaggi, crani di rospo, setole di maiale, urine, escrementi, unghie, peli pubici e cordone ombelicale essiccato e la lista non si esaurisce qui. Le levatrici (qablas) del Marocco, praticano correntemente riti contro la sterilità, con l’uso impressionante di farmaci, pozioni e feticci. Uno dei piatti ritenuti più potenti contro la sterilità è una salsiccia composta di carne e testicoli di una pecora sacrificata in occasione del Aid el Kabir. La salsiccia viene tagliata a fette e aggiunta al cous cous o spezzatino (tajin) del coniuge. Ci sono donne venditrici, iniziate alle arti occulte, che vendono il “msakhen”, un composto d’erbe, considerato un farmaco prodigioso contro la sterilità. Alcuni tipi di “msakhen” contengono fino a 30 specie di erbe locali. L'induzione della sterilità per un certo numero di anni è un’altra pratica magica su richiesta esercitata dalla levatrice. Una resina chiamata “fasoukh” viene adoperata per fumigazioni che inducono l’aborto. I musulmani del Marocco enfatizzano così tanto la magia che in Egitto, la parola “maghreby” è sinonimo di stregone. Ecco tre esempi di stregoneria praticata in Algeria; ciascuna pratica ha come scopo l’impedimento del matrimonio (Perès e Bousquet, 1948:150-152). 
• Vengono acquistati tre chiodi ad una mesticheria che si trova rivolta verso la Mecca e consegnati alla vicina di casa della giovane che è in procinto di sposarsi. I chiodi, avvolti con pezzi di tessuto presi dai suoi abiti vengono piantati nella porta di casa della giovane: uno a destra, uno a sinistra e uno nel mezzo in una posizione tale che la futura sposina è costretta a passarci sopra. I chiodi devono essere spinti a fondo. Per ogni chiodo che viene piantato, si recita l’incantesimo: “Non è un chiodo che sto piantando; ma è questo, questo e quest’altro... la figlia del tal dei tali, che io sto immobilizzando.” 
• Bisogna procurarsi alcuni capelli della giovane, che vengono mescolati con le setole di un maiale (in modo che la fisionomia ricordi quella della scrofa) e avvolti ben bene in un pezzo di tessuto proveniente dagli abiti della giovane. Il tessuto viene annodato ed il tutto portato al cimitero e sepolto in una tomba abbandonata, recitando quest’incantesimo: “Salve a voi, o possessore di questa tomba, che non sappiamo essere uomo o donna; così come voi siete stato abbandonato in questa tomba, possa essere abbandonata la figlia di tal dei tali da coloro che la vogliono in sposa.” Anche se i preparativi per le nozze sono già in corso, tutt’ad un tratto saranno interrotti a causa di quest’ incantesimo. 
• Dopo aver legato la cistifellea di un montone o vitellone macellato di recente, questa viene lasciata in un luogo dove la giovane è costretta a passare (preferibilmente nel cortile di casa sua). Calpestando la vescica , la giovane diventerà melanconica; se la vittima è di bell’aspetto, diventerà brutta agli occhi di tutti. 
Nell’ambito della magia nera bisogna collocare anche l’ipnosi indotta per magia. Quando questa forma di stregoneria raggiunge lo scopo, la persona perde ogni inibizione e non le è più possibile controllare le reazioni istintive. Quando i freni inibitori vengono neutralizzati dall’ipnosi, per la persona è il caos totale. 

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giovedì 1 novembre 2018

L'origine del velo islamico




Ciò che in Occidente viene chiamato "velo", ed erroneamente alcuni pensano essere stato introdotto dall'Islam, esisteva in realtà ben prima di esso. Una legge del XII secolo a.C. nella Mesopotamia assira, sotto il regno del sovrano Tiglatpileser I (1114 a.C. — 1076 a.C.), rendeva già obbligatorio, ad ogni donna sposata, utilizzare il velo fuori dalle mura di casa. Esso appariva anche nel mondo greco: un esempio si ha in un passo dell'Iliade, dove la dea Era, decisa ad uscire dalla sua reggia sull'Olimpo per recarsi sul Monte Ida, si veste di tutto punto e, prima di indossare, come ultima cosa, i calzari, avvolge intorno alla testa "una leggiadra / e chiara come sole intatta benda", un velo sottile che posato sui capelli scendeva fin sulle spalle, e con uno dei lembi poteva coprire anche il viso. Era una variante del velo usato dalle spose.
Nel Medioevo si hanno notizie di tre donne che nel XIII e XIV secolo ebbero la possibilità di tenere delle lezioni di Diritto all'Università di Bologna, ma soltanto a condizione che tenessero il corpo e il volto completamente velati per non distrarre gli studenti.
Nella Penisola araba pre-islamica le donne godevano di vasti privilegi in campo coniugale: poliandria mirante alla procreazione di fanciulli sani in caso di impotenza del primo marito, possibilità di ripudio del marito e matrimoni a tempo predeterminato (mut'a), per il quale era assolutamente prescritto il libero consenso della donna e in base al quale l'eventuale figlio della coppia rimaneva al padre, che se ne assumeva ogni onere economico. Troviamo donne imprenditrici e notevolmente attive in campo politico.
A ridosso della nascita dell'Islam, alcuni di questi istituti giuridici non risultavano essere più validi: segno probabile di una rivalsa virile a discapito del ruolo della moglie: è probabile che l'uso del velo, in questo periodo, fosse comunque abbastanza diffuso, sia pur non generalizzato come in seguito con l'affermarsi dell'Islam.
Secondo alcuni sociologi, con l'avvento dell'Islam il velo diventa il simbolo di una ritrovata dignità femminile, dal momento che la donna diventa soggetto di alcuni precisi diritti (al mahr, ad esempio, una quota di beni o denaro obbligatoriamente versata dall'uomo a tutela dell'eventuale vedovanza o di un ripudio subito, senza dimenticare il diritto all'eredità, per quanto normalmente determinata nella metà della quota-parte riservata al maschio avente pari titolo giuridico); secondo altri, l'obbligo del velo manifesta invece la subordinazione della donna rispetto all'uomo, vista come una sua proprietà e quindi costretta a nascondere il proprio capo a tutti gli altri uomini, se non a quelli della propria famiglia. La religione islamica chiede inoltre alle donne che si convertono di velarsi per essere distinte dalle non musulmane.
Rimane un dato storico incontrovertibile che l'uso del velo non sia una pratica esclusivamente e specificamente musulmana, ma semmai araba e anteriore all'Islam, diffusa anche in varie altre culture e religioni, tra le quali il Cristianesimo orientale e in generale il mondo bizantino. Il suo scopo principale era quello di segnalare le differenze sociali, indicare le donne che dovevano essere oggetto di un particolare rispetto, e spesso marcare la differenza tra sacro e profano.


ill: Five Baghdadi Women (1982) - Ismail al Sheikhly

domenica 14 ottobre 2018

Spiritismo in Nord Africa



Le confraternite “dervish” (ordine mistico musulmano di origine turca) in Egitto sono apparentemente guidate da un “qutb”, un santone che è il capo della gerarchia dell’ordine. Egli è continuamente in contatto con lo spirito del santo patrono dal quale deriva il nome all’ordine. Il “qutb” ha poteri soprannaturali di ubiquità; può essere presente fisicamente in un certo luogo e presente nello spirito in un altro. Può anche apparire fisicamente in due luoghi distinti allo stesso momento. 
In Nord Africa le tombe erette alla memoria di certi santi sono meta di pellegrinaggi, luoghi di preghiera. Lavori di muratura, in ferro, o alberi che si trovano nelle vicinanze sono adornati con indumenti, ciocche di capelli, denti umani o altri oggetti appartenenti alla persona per cui si intercede. Le donne vi portano i bambini malati; dopo un’implorazione, si sfregano le mani sopra una parte del sepolcro e poi le impongono sul bambino. La guarigione demoniaca può aver luogo, ma sarà sempre accompagnata da un assoggettamento agli spiriti immondi; in pratica è stato contratto un debito. 
È credenza popolare che gli spiriti dei morti vaghino alla ricerca di una dimora in una persona vivente. Una volta trovata la persona ospitante, lo soggiogheranno totalmente. Il malcapitato passerà dei periodi d’apparente normalità, ma quando gli spiriti passano dallo stato passivo a quello attivo, le terribili manifestazioni che ne conseguono sono visibili a tutti 
In Nord Africa, un guaritore assurge al ruolo di uomo santo in base ai suoi molti “successi”. Esistono anche donne guaritrici. Queste persone si mantengono di solito con le offerte dei pazienti, scegliendo la povertà e vivendo nella sporcizia. 
La presenza di “djnoun” maligni che prendono forma umana sembrano connessi alle attività spiritistiche nella stessa località. Questi “djnoun” a grandezza naturale sono molto temuti in tutto il Nord Africa. Frequentano di solito i cimiteri di notte, appaiono sulle porte o alle finestre; tuttavia i loro rifugi preferiti sono le latrine e le fogne. Non tutti i “djnoun” sono musulmani: alcuni sono ebrei, altri cristiani. Non c’è da stupirsi, dunque, che una donna o un bambino non accetterebbe mai di dormire da solo in una stanza dopo il tramonto. 
Nina Epton, nel suo libro “Santi e stregoni”, descrive il “djnoun” come un personaggio delle fiabe popolari dell’ Assiria e dell’ Arabia, introdottosi in seguito nell’islam. Vengono menzionati anche nel Corano, dove non sono mai chiamati maligni; la loro natura malvagia è sottintesa. Un proverbio marocchino afferma che un neonato di sesso maschile viene al mondo con sessanta “djnoun” in corpo; una neonata invece nasce pura. Ma mentre il maschio ne perde uno ogni anno che passa, la femmina ne prende uno. Ecco perché affermano che le donne di sessant’anni posseggono sessanta “djnoun” e sono alla pari col diavolo stesso. 

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giovedì 20 settembre 2018

Proverbi



Un bravo avvocato deve saper mentire.

                                                        لمحامي الناجح لا بد أن یكون كذابا ماھرا)

La bocca lusinghiera porta alla rovina.
                                                                                           (التملق مھلكة)

La lingua di una donna è l'ultima cosa di lei che muore.
                                                                      (لسان المرأة آخر ما یموت فیھا)

Chi ha testa saggia ha la bocca stretta.
                                                                                  (العاقل من أمسك لسانھ)

Ai bugiardi non si crede quando dicono la verità.
                                                                  (الكذاب لا یصدق عندما یقول الحق)

sabato 1 settembre 2018

La superstizione islamica



Da che mondo è mondo, le persone superstiziose sono sempre esistite  in tutte le culture e le credenze. In arabo, la superstizione si chiama "Tira" o "Tiyara" o “Tatayur” e deriva dalla parola "Tayr", cioè volatile, uccello. Infatti, gli arabi prima dell'Islam, consideravano di malaugurio, quando uscivano da casa la mattina, vedere volare un uccello verso sinistra, pertanto, rientravano a casa e non andavano a commerciare o a lavorare…Quando l'Islam arrivò, il profeta spiegò che questo era contrario alla fede, ma le superstizioni non sono mai scomparse.
Eccone alcune che sopravvivono anche ai giorni nostri:
•In Marocco quando un neonato è messo nella culla, si dispongono vicino al suo capo vari oggetti: il coltello usato per recidere il cordone ombelicale, uno specchio, una chiave ed un sacchetto contenente erbe (come l’amamelide), sale e allume. Si dice che questi oggetti abbiano il potere di scongiurare gli effetti del malocchio.
• In alcune zone dell’Algeria si usa invece collocare nella culla vicino alla testa del bambino: una chiave, un chiodo, un minuscolo flacone d’acqua che era stata usata per il suo primo bagnetto (al settimo giorno di vita), uno spicchio d’aglio, un po’ di cumino e degli incantesimi scritti. Gli oggetti devono rimanere nella culla fino a che il bambino non li getterà via; dopodiché verranno cuciti dentro al suo guanciale. In questo modo si assicura la protezione contro forze malevole e sconosciute.
• Prima che il il neonato sia messo sul petto della madre, la levatrice spalma sulle labbra del piccolo un po’ di unguento porta fortuna per farlo crescere sano, bello e saggio. L’unguento contiene le ceneri di sette fili di lana colorata, zolfo, olio e verderame. Pratica marocchina.
• Di solito si dà il nome al piccolo il settimo giorno. Se successivamente il bambino dovesse ammalarsi, il nome verrà cambiato visto che il primo si è rivelato inefficace.
• Durante i primi quaranta giorni di vita, il piccolo non verrà mai lasciato da solo in casa, nemmeno per un istante. Se rimane incustodito, c’è il grave pericolo che venga rapito da un “djinn” e sostituito con “un figlio del djnoun”, nato lo stesso giorno del piccolo. Credenza prevalente in Algeria.
• Il quarantesimo giorno dalla nascita del piccolo, la madre viene portata al hammam dalla levatrice che porta in braccio il piccolo. Le altre donne, parenti o amiche della madre la accompagnano. Arrivate sulla soglia del hammam, la levatrice avvicina il bambino alla parte destra della madre per sette volte, esclamando ogni volta: “Tu hai dei figli ed anch’io ce li ho. Tu non distruggere me ed io non distruggerò te. Questo piccolo è mio ed anche tuo”. Il rituale viene ripetuto anche dentro l’ hammam. 
• In quest’occasione la madre e la levatrice devono masticare del cumino, sputandolo in giro per le stanze dove passano. Si accendono due candele che vengono poste in una nicchia nel muro del hammam e lasciate lì  a consumarsi. Questo è un rito viene praticato in Algeria per proteggersi dal djnoun.
• Non è raro vedere in Kabylia strani oggetti cuciti o appuntati al cappellino di un bambino: un dente di cinghiale, un minuscolo sacchettino di zucchero ed uno di spezie. Il dente assicura la crescita sana e forte, lo zucchero una buona disposizione di spirito e le spezie un sonno tranquillo.
• Nell’ambito del trattamento delle infermità causate dai “fratelli” (djnoun della stessa età del bambino che condividono la stessa abitazione), si praticano delle fumigazioni nella stanza o nel cortile. I materiali usati sono: balsamo, legno di aloe, coriandolo e ambra. Le donne che eseguono il rito pronunciano uno scongiuro come questo: “noi siamo uniti dalla nostra vicinanza; non fateci del male e noi non vi faremo del male. Ti supplico, nel nome di Allah onnipotente, di liberare questo bambino.”
• Quando un familiare deve essere liberato dall’invidia, deve bere dell’acqua proveniente dalla scuola coranica locale. L’acqua è stata usata per lavare via le parole del Corano scritte su tavolette (non va mai gettata nei fiumi o nei fossi ma versata in una buca scavata per terra). L’acqua è ritenuta particolarmente efficace se usata di mercoledì.
• Gli amuleti protettivi sono diffusissimi: li usano i giovani, gli anziani, i ricchi e i poveri. Amuleti contenenti versetti del Corano sono ritenuti molto efficaci; vengono preparati dai santoni o dai “tolba” che li vendono alle persone. Vengono indossati allo scopo di scongiurare o curare le malattie, per tenere lontani i pericoli, tra cui il malocchio e il djnuon. I bambini li portano cuciti sui berretti. Le donne e le ragazze li portano intorno al collo o attaccati alle cinture; gli uomini ed i ragazzi intorno al collo, cuciti sul fez o alla catena dell’orologio. Nel Nord Africa la parola araba “hirz” significa amuleto sia in arabo sia in dialetto berbero.
• In tutto il Nord Africa, la “mano di Fatima” è adoperata come simbolo per scongiurare il malocchio, per difesa e protezione ed ha la forma di una mano aperta. Si può vedere il simbolo dipinto con henna sugli stipiti delle porte o come ciondolo d’argento portato dalle donne, o lavorato in legno, metallo. In alcune aree del Nord Africa, la mano è associata alla maledizione: “cinque nel tuo occhio”, oppure “cinque su di te”, o “cinque in faccia ai tuoi nemici”.

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mercoledì 15 agosto 2018

La poesia araba di Nizar Qabbani

Un amore straordinario 



Quel che più mi tortura del tuo amore
È che non sono in grado di amarti di più
Quel che più mi infastidisce dei miei cinque sensi
È che restano cinque… nessuno di più
Una donna straordinaria come te
Ha bisogno di sensi straordinari
Amori straordinari
Lacrime straordinarie
E di una quarta religione
Che abbia i suoi precetti, i suoi  rituali, il suo paradiso e il suo inferno
Una donna straordinaria come te
Ha bisogno di libri scritti per lei sola
Di un dolore che sia solo suo
Di una morte che sia solo sua
E di un tempo con milioni di stanze
In cui abitare da sola
Ma io, purtroppo
Non sono in grado di impastare gli attimi
A mo’ di anelli da metterti alle dita
L’anno infatti è governato dai mesi
I mesi dalle settimane
Le settimane dai giorni
E i miei giorni sono governati dal susseguirsi della notte e del giorno
Nei tuoi occhi viola.


Nizar Qabbani

mercoledì 4 luglio 2018

Il saluto nel mondo arabo


Il saluto è una forma di rispetto e di augurio di una buona mattinata, serata o giornata. Il saluto anticipa ogni dialogo tra due persone o tra gruppi di persone. 
Quando una persona entra in una casa o incontra un gruppo di amici saluta per primo. 
Le persone anziane e i genitori, per un massimo rispetto, sono da salutare anticipando il loro saluto.
I musulmani usano la parola salām, che in arabo significa “pace”.
L’espressione forse più conosciuta nei paesi non-arabofoni è as-salām ‘alaykum (“la pace sia su di voi”), che è il saluto che ogni musulmano rivolge, ma equivale all’italiano “ciao” o “buongiorno”, e ricevendo in risposta wa ‘alaykum as-salām (“e con voi la pace”).
La stretta di mano leggera è frequente tra gli uomini arabi ma non con le donne per cui meglio aspettare  da loro il primo passo. Un altro modo di salutare, sempre tra maschi, è abbracciarsi e baciarsi sulle guance oppure toccarsi con la mano il torace, poi le labbra e infine la fronte; quest’ultima ritualità gestuale trasmette un messaggio profondo e significa:” ti do il mio cuore, la mia anima, il mio pensiero”.
In buona parte del mondo arabo il saluto si dà con tre baci sulle guance.

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