domenica 23 dicembre 2018

La poesia araba di Nizar Qabbani.


Lettera da sotto il mare 





Se sei mio amico…
aiutami a lasciarti.
Se sei il mio amante…
aiutami a guarire da te.
Se avessi saputo che l’amore era così pericoloso…
non avrei amato.
Se avessi saputo che il mare era così profondo…
non avrei navigato.
Se avessi saputo quale sarebbe stata la mia fine…
non avrei iniziato.
Ti desidero,
insegnami a non desiderare…
Insegnami
come sradicare dal più profondo le radici del tuo amore…
Insegnami
come le lacrime muoiono negli occhi…
Insegnami
come muore il cuore…e come si suicidano le passioni.
Se sei profeta,
liberami da questo incantesimo, salvami da questa miscredenza.
Il tuo amore è blasfemia,
purificami…
Se sei forte…
portami via da questo mare in tempesta…
io non so nuotare
e le onde azzurre nei tuoi occhi…mi trascinano verso l’abisso.
Io non ho esperienza nell’amore,
e non ho neanche un battello.
Se ti sono così cara, allora…prendimi la mano.
Io sono innamorata dalla testa ai piedi.
Io respiro sott’acqua…
Io annego…
annego…
annego…


Nizar Qabbani 

sabato 1 dicembre 2018

La magia nera


magia nera nell'antico Egitto
Moltissimi sono i musulmani che ricorrono alla magia: bianca per prevenire o cautelarsi dal malocchio o dalle maledizioni, nera per procurare il male. In Nord Africa, la gente comune può frequentare liberamente gli stregoni, che non sono perseguibili per legge. Si trovano prevalentemente tra le categorie dei macellai, delle levatrici e delle donne che si occupano del lavaggio dei cadaveri. Tra gli oggetti usati per incantesimi e contro incantesimi, ci sono amuleti, spille, orecchini e una varietà di oggetti, alcuni assai ripugnanti, come ossa, piume, pipistrelli, scarafaggi, crani di rospo, setole di maiale, urine, escrementi, unghie, peli pubici e cordone ombelicale essiccato e la lista non si esaurisce qui. Le levatrici (qablas) del Marocco, praticano correntemente riti contro la sterilità, con l’uso impressionante di farmaci, pozioni e feticci. Uno dei piatti ritenuti più potenti contro la sterilità è una salsiccia composta di carne e testicoli di una pecora sacrificata in occasione del Aid el Kabir. La salsiccia viene tagliata a fette e aggiunta al cous cous o spezzatino (tajin) del coniuge. Ci sono donne venditrici, iniziate alle arti occulte, che vendono il “msakhen”, un composto d’erbe, considerato un farmaco prodigioso contro la sterilità. Alcuni tipi di “msakhen” contengono fino a 30 specie di erbe locali. L'induzione della sterilità per un certo numero di anni è un’altra pratica magica su richiesta esercitata dalla levatrice. Una resina chiamata “fasoukh” viene adoperata per fumigazioni che inducono l’aborto. I musulmani del Marocco enfatizzano così tanto la magia che in Egitto, la parola “maghreby” è sinonimo di stregone. Ecco tre esempi di stregoneria praticata in Algeria; ciascuna pratica ha come scopo l’impedimento del matrimonio (Perès e Bousquet, 1948:150-152). 
• Vengono acquistati tre chiodi ad una mesticheria che si trova rivolta verso la Mecca e consegnati alla vicina di casa della giovane che è in procinto di sposarsi. I chiodi, avvolti con pezzi di tessuto presi dai suoi abiti vengono piantati nella porta di casa della giovane: uno a destra, uno a sinistra e uno nel mezzo in una posizione tale che la futura sposina è costretta a passarci sopra. I chiodi devono essere spinti a fondo. Per ogni chiodo che viene piantato, si recita l’incantesimo: “Non è un chiodo che sto piantando; ma è questo, questo e quest’altro... la figlia del tal dei tali, che io sto immobilizzando.” 
• Bisogna procurarsi alcuni capelli della giovane, che vengono mescolati con le setole di un maiale (in modo che la fisionomia ricordi quella della scrofa) e avvolti ben bene in un pezzo di tessuto proveniente dagli abiti della giovane. Il tessuto viene annodato ed il tutto portato al cimitero e sepolto in una tomba abbandonata, recitando quest’incantesimo: “Salve a voi, o possessore di questa tomba, che non sappiamo essere uomo o donna; così come voi siete stato abbandonato in questa tomba, possa essere abbandonata la figlia di tal dei tali da coloro che la vogliono in sposa.” Anche se i preparativi per le nozze sono già in corso, tutt’ad un tratto saranno interrotti a causa di quest’ incantesimo. 
• Dopo aver legato la cistifellea di un montone o vitellone macellato di recente, questa viene lasciata in un luogo dove la giovane è costretta a passare (preferibilmente nel cortile di casa sua). Calpestando la vescica , la giovane diventerà melanconica; se la vittima è di bell’aspetto, diventerà brutta agli occhi di tutti. 
Nell’ambito della magia nera bisogna collocare anche l’ipnosi indotta per magia. Quando questa forma di stregoneria raggiunge lo scopo, la persona perde ogni inibizione e non le è più possibile controllare le reazioni istintive. Quando i freni inibitori vengono neutralizzati dall’ipnosi, per la persona è il caos totale. 

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giovedì 1 novembre 2018

L'origine del velo islamico




Ciò che in Occidente viene chiamato "velo", ed erroneamente alcuni pensano essere stato introdotto dall'Islam, esisteva in realtà ben prima di esso. Una legge del XII secolo a.C. nella Mesopotamia assira, sotto il regno del sovrano Tiglatpileser I (1114 a.C. — 1076 a.C.), rendeva già obbligatorio, ad ogni donna sposata, utilizzare il velo fuori dalle mura di casa. Esso appariva anche nel mondo greco: un esempio si ha in un passo dell'Iliade, dove la dea Era, decisa ad uscire dalla sua reggia sull'Olimpo per recarsi sul Monte Ida, si veste di tutto punto e, prima di indossare, come ultima cosa, i calzari, avvolge intorno alla testa "una leggiadra / e chiara come sole intatta benda", un velo sottile che posato sui capelli scendeva fin sulle spalle, e con uno dei lembi poteva coprire anche il viso. Era una variante del velo usato dalle spose.
Nel Medioevo si hanno notizie di tre donne che nel XIII e XIV secolo ebbero la possibilità di tenere delle lezioni di Diritto all'Università di Bologna, ma soltanto a condizione che tenessero il corpo e il volto completamente velati per non distrarre gli studenti.
Nella Penisola araba pre-islamica le donne godevano di vasti privilegi in campo coniugale: poliandria mirante alla procreazione di fanciulli sani in caso di impotenza del primo marito, possibilità di ripudio del marito e matrimoni a tempo predeterminato (mut'a), per il quale era assolutamente prescritto il libero consenso della donna e in base al quale l'eventuale figlio della coppia rimaneva al padre, che se ne assumeva ogni onere economico. Troviamo donne imprenditrici e notevolmente attive in campo politico.
A ridosso della nascita dell'Islam, alcuni di questi istituti giuridici non risultavano essere più validi: segno probabile di una rivalsa virile a discapito del ruolo della moglie: è probabile che l'uso del velo, in questo periodo, fosse comunque abbastanza diffuso, sia pur non generalizzato come in seguito con l'affermarsi dell'Islam.
Secondo alcuni sociologi, con l'avvento dell'Islam il velo diventa il simbolo di una ritrovata dignità femminile, dal momento che la donna diventa soggetto di alcuni precisi diritti (al mahr, ad esempio, una quota di beni o denaro obbligatoriamente versata dall'uomo a tutela dell'eventuale vedovanza o di un ripudio subito, senza dimenticare il diritto all'eredità, per quanto normalmente determinata nella metà della quota-parte riservata al maschio avente pari titolo giuridico); secondo altri, l'obbligo del velo manifesta invece la subordinazione della donna rispetto all'uomo, vista come una sua proprietà e quindi costretta a nascondere il proprio capo a tutti gli altri uomini, se non a quelli della propria famiglia. La religione islamica chiede inoltre alle donne che si convertono di velarsi per essere distinte dalle non musulmane.
Rimane un dato storico incontrovertibile che l'uso del velo non sia una pratica esclusivamente e specificamente musulmana, ma semmai araba e anteriore all'Islam, diffusa anche in varie altre culture e religioni, tra le quali il Cristianesimo orientale e in generale il mondo bizantino. Il suo scopo principale era quello di segnalare le differenze sociali, indicare le donne che dovevano essere oggetto di un particolare rispetto, e spesso marcare la differenza tra sacro e profano.


ill: Five Baghdadi Women (1982) - Ismail al Sheikhly

domenica 14 ottobre 2018

Spiritismo in Nord Africa



Le confraternite “dervish” (ordine mistico musulmano di origine turca) in Egitto sono apparentemente guidate da un “qutb”, un santone che è il capo della gerarchia dell’ordine. Egli è continuamente in contatto con lo spirito del santo patrono dal quale deriva il nome all’ordine. Il “qutb” ha poteri soprannaturali di ubiquità; può essere presente fisicamente in un certo luogo e presente nello spirito in un altro. Può anche apparire fisicamente in due luoghi distinti allo stesso momento. 
In Nord Africa le tombe erette alla memoria di certi santi sono meta di pellegrinaggi, luoghi di preghiera. Lavori di muratura, in ferro, o alberi che si trovano nelle vicinanze sono adornati con indumenti, ciocche di capelli, denti umani o altri oggetti appartenenti alla persona per cui si intercede. Le donne vi portano i bambini malati; dopo un’implorazione, si sfregano le mani sopra una parte del sepolcro e poi le impongono sul bambino. La guarigione demoniaca può aver luogo, ma sarà sempre accompagnata da un assoggettamento agli spiriti immondi; in pratica è stato contratto un debito. 
È credenza popolare che gli spiriti dei morti vaghino alla ricerca di una dimora in una persona vivente. Una volta trovata la persona ospitante, lo soggiogheranno totalmente. Il malcapitato passerà dei periodi d’apparente normalità, ma quando gli spiriti passano dallo stato passivo a quello attivo, le terribili manifestazioni che ne conseguono sono visibili a tutti 
In Nord Africa, un guaritore assurge al ruolo di uomo santo in base ai suoi molti “successi”. Esistono anche donne guaritrici. Queste persone si mantengono di solito con le offerte dei pazienti, scegliendo la povertà e vivendo nella sporcizia. 
La presenza di “djnoun” maligni che prendono forma umana sembrano connessi alle attività spiritistiche nella stessa località. Questi “djnoun” a grandezza naturale sono molto temuti in tutto il Nord Africa. Frequentano di solito i cimiteri di notte, appaiono sulle porte o alle finestre; tuttavia i loro rifugi preferiti sono le latrine e le fogne. Non tutti i “djnoun” sono musulmani: alcuni sono ebrei, altri cristiani. Non c’è da stupirsi, dunque, che una donna o un bambino non accetterebbe mai di dormire da solo in una stanza dopo il tramonto. 
Nina Epton, nel suo libro “Santi e stregoni”, descrive il “djnoun” come un personaggio delle fiabe popolari dell’ Assiria e dell’ Arabia, introdottosi in seguito nell’islam. Vengono menzionati anche nel Corano, dove non sono mai chiamati maligni; la loro natura malvagia è sottintesa. Un proverbio marocchino afferma che un neonato di sesso maschile viene al mondo con sessanta “djnoun” in corpo; una neonata invece nasce pura. Ma mentre il maschio ne perde uno ogni anno che passa, la femmina ne prende uno. Ecco perché affermano che le donne di sessant’anni posseggono sessanta “djnoun” e sono alla pari col diavolo stesso. 

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giovedì 20 settembre 2018

Proverbi



Un bravo avvocato deve saper mentire.

                                                        لمحامي الناجح لا بد أن یكون كذابا ماھرا)

La bocca lusinghiera porta alla rovina.
                                                                                           (التملق مھلكة)

La lingua di una donna è l'ultima cosa di lei che muore.
                                                                      (لسان المرأة آخر ما یموت فیھا)

Chi ha testa saggia ha la bocca stretta.
                                                                                  (العاقل من أمسك لسانھ)

Ai bugiardi non si crede quando dicono la verità.
                                                                  (الكذاب لا یصدق عندما یقول الحق)

sabato 1 settembre 2018

La superstizione islamica



Da che mondo è mondo, le persone superstiziose sono sempre esistite  in tutte le culture e le credenze. In arabo, la superstizione si chiama "Tira" o "Tiyara" o “Tatayur” e deriva dalla parola "Tayr", cioè volatile, uccello. Infatti, gli arabi prima dell'Islam, consideravano di malaugurio, quando uscivano da casa la mattina, vedere volare un uccello verso sinistra, pertanto, rientravano a casa e non andavano a commerciare o a lavorare…Quando l'Islam arrivò, il profeta spiegò che questo era contrario alla fede, ma le superstizioni non sono mai scomparse.
Eccone alcune che sopravvivono anche ai giorni nostri:
•In Marocco quando un neonato è messo nella culla, si dispongono vicino al suo capo vari oggetti: il coltello usato per recidere il cordone ombelicale, uno specchio, una chiave ed un sacchetto contenente erbe (come l’amamelide), sale e allume. Si dice che questi oggetti abbiano il potere di scongiurare gli effetti del malocchio.
• In alcune zone dell’Algeria si usa invece collocare nella culla vicino alla testa del bambino: una chiave, un chiodo, un minuscolo flacone d’acqua che era stata usata per il suo primo bagnetto (al settimo giorno di vita), uno spicchio d’aglio, un po’ di cumino e degli incantesimi scritti. Gli oggetti devono rimanere nella culla fino a che il bambino non li getterà via; dopodiché verranno cuciti dentro al suo guanciale. In questo modo si assicura la protezione contro forze malevole e sconosciute.
• Prima che il il neonato sia messo sul petto della madre, la levatrice spalma sulle labbra del piccolo un po’ di unguento porta fortuna per farlo crescere sano, bello e saggio. L’unguento contiene le ceneri di sette fili di lana colorata, zolfo, olio e verderame. Pratica marocchina.
• Di solito si dà il nome al piccolo il settimo giorno. Se successivamente il bambino dovesse ammalarsi, il nome verrà cambiato visto che il primo si è rivelato inefficace.
• Durante i primi quaranta giorni di vita, il piccolo non verrà mai lasciato da solo in casa, nemmeno per un istante. Se rimane incustodito, c’è il grave pericolo che venga rapito da un “djinn” e sostituito con “un figlio del djnoun”, nato lo stesso giorno del piccolo. Credenza prevalente in Algeria.
• Il quarantesimo giorno dalla nascita del piccolo, la madre viene portata al hammam dalla levatrice che porta in braccio il piccolo. Le altre donne, parenti o amiche della madre la accompagnano. Arrivate sulla soglia del hammam, la levatrice avvicina il bambino alla parte destra della madre per sette volte, esclamando ogni volta: “Tu hai dei figli ed anch’io ce li ho. Tu non distruggere me ed io non distruggerò te. Questo piccolo è mio ed anche tuo”. Il rituale viene ripetuto anche dentro l’ hammam. 
• In quest’occasione la madre e la levatrice devono masticare del cumino, sputandolo in giro per le stanze dove passano. Si accendono due candele che vengono poste in una nicchia nel muro del hammam e lasciate lì  a consumarsi. Questo è un rito viene praticato in Algeria per proteggersi dal djnoun.
• Non è raro vedere in Kabylia strani oggetti cuciti o appuntati al cappellino di un bambino: un dente di cinghiale, un minuscolo sacchettino di zucchero ed uno di spezie. Il dente assicura la crescita sana e forte, lo zucchero una buona disposizione di spirito e le spezie un sonno tranquillo.
• Nell’ambito del trattamento delle infermità causate dai “fratelli” (djnoun della stessa età del bambino che condividono la stessa abitazione), si praticano delle fumigazioni nella stanza o nel cortile. I materiali usati sono: balsamo, legno di aloe, coriandolo e ambra. Le donne che eseguono il rito pronunciano uno scongiuro come questo: “noi siamo uniti dalla nostra vicinanza; non fateci del male e noi non vi faremo del male. Ti supplico, nel nome di Allah onnipotente, di liberare questo bambino.”
• Quando un familiare deve essere liberato dall’invidia, deve bere dell’acqua proveniente dalla scuola coranica locale. L’acqua è stata usata per lavare via le parole del Corano scritte su tavolette (non va mai gettata nei fiumi o nei fossi ma versata in una buca scavata per terra). L’acqua è ritenuta particolarmente efficace se usata di mercoledì.
• Gli amuleti protettivi sono diffusissimi: li usano i giovani, gli anziani, i ricchi e i poveri. Amuleti contenenti versetti del Corano sono ritenuti molto efficaci; vengono preparati dai santoni o dai “tolba” che li vendono alle persone. Vengono indossati allo scopo di scongiurare o curare le malattie, per tenere lontani i pericoli, tra cui il malocchio e il djnuon. I bambini li portano cuciti sui berretti. Le donne e le ragazze li portano intorno al collo o attaccati alle cinture; gli uomini ed i ragazzi intorno al collo, cuciti sul fez o alla catena dell’orologio. Nel Nord Africa la parola araba “hirz” significa amuleto sia in arabo sia in dialetto berbero.
• In tutto il Nord Africa, la “mano di Fatima” è adoperata come simbolo per scongiurare il malocchio, per difesa e protezione ed ha la forma di una mano aperta. Si può vedere il simbolo dipinto con henna sugli stipiti delle porte o come ciondolo d’argento portato dalle donne, o lavorato in legno, metallo. In alcune aree del Nord Africa, la mano è associata alla maledizione: “cinque nel tuo occhio”, oppure “cinque su di te”, o “cinque in faccia ai tuoi nemici”.

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mercoledì 15 agosto 2018

La poesia araba di Nizar Qabbani

Un amore straordinario 



Quel che più mi tortura del tuo amore
È che non sono in grado di amarti di più
Quel che più mi infastidisce dei miei cinque sensi
È che restano cinque… nessuno di più
Una donna straordinaria come te
Ha bisogno di sensi straordinari
Amori straordinari
Lacrime straordinarie
E di una quarta religione
Che abbia i suoi precetti, i suoi  rituali, il suo paradiso e il suo inferno
Una donna straordinaria come te
Ha bisogno di libri scritti per lei sola
Di un dolore che sia solo suo
Di una morte che sia solo sua
E di un tempo con milioni di stanze
In cui abitare da sola
Ma io, purtroppo
Non sono in grado di impastare gli attimi
A mo’ di anelli da metterti alle dita
L’anno infatti è governato dai mesi
I mesi dalle settimane
Le settimane dai giorni
E i miei giorni sono governati dal susseguirsi della notte e del giorno
Nei tuoi occhi viola.


Nizar Qabbani

mercoledì 4 luglio 2018

Il saluto nel mondo arabo


Il saluto è una forma di rispetto e di augurio di una buona mattinata, serata o giornata. Il saluto anticipa ogni dialogo tra due persone o tra gruppi di persone. 
Quando una persona entra in una casa o incontra un gruppo di amici saluta per primo. 
Le persone anziane e i genitori, per un massimo rispetto, sono da salutare anticipando il loro saluto.
I musulmani usano la parola salām, che in arabo significa “pace”.
L’espressione forse più conosciuta nei paesi non-arabofoni è as-salām ‘alaykum (“la pace sia su di voi”), che è il saluto che ogni musulmano rivolge, ma equivale all’italiano “ciao” o “buongiorno”, e ricevendo in risposta wa ‘alaykum as-salām (“e con voi la pace”).
La stretta di mano leggera è frequente tra gli uomini arabi ma non con le donne per cui meglio aspettare  da loro il primo passo. Un altro modo di salutare, sempre tra maschi, è abbracciarsi e baciarsi sulle guance oppure toccarsi con la mano il torace, poi le labbra e infine la fronte; quest’ultima ritualità gestuale trasmette un messaggio profondo e significa:” ti do il mio cuore, la mia anima, il mio pensiero”.
In buona parte del mondo arabo il saluto si dà con tre baci sulle guance.

martedì 12 giugno 2018

Maometto e la montagna.




Il proverbio è notissimo: “Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna” ed è riferito all’abilità di trasformare un disastro in un successo solo grazie alla faccia tosta. In molti, però, lo citano nella sua variante (sbagliata), che vede gli ordini invertiti: “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”, e si intende, quasi in modo fatalistico, che se una cosa deve accadere, allora accadrà, anche a costo di stravolgere l’ordine naturale delle cose. L’origine del proverbio è oscura. Di sicuro, non c’entra con il Corano e nemmeno  con gli Hadith. Questo detto, molto probabilmente è giunto a noi grazie ad un filosofo britannico di nome Francis Bacon, il quale racconta questo aneddoto in un’opera intitolata “Saggi”: “Un giorno, il profeta Maometto, era stato incitato dalla folla a compiere un miracolo, così promise che con l'aiuto di Dio avrebbe indotto una montagna a spostarsi e ad avvicinarsi a lui. Si pose quindi a una certa distanza dal monte e cominciò a pregare, ma quando dopo un certo tempo fu evidente che la montagna non accennava minimamente a muoversi, il Profeta si alzò e s'incamminò verso il monte dicendo: "Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna” E si mise subito in cammino verso il monte, seguito dalla folla in delirio per questa sua arguta risposta." Resta il fatto che  è una storiella infondata che non si trova in nessuna parte del Corano e non ci sono nemmeno storie popolari arabe o islamiche che citano tale avvenimento. Pare infatti provato che il Maometto della storiella non fosse il Profeta della Mecca, ma un mago arabo (piuttosto fallimentare, ma spiritoso) del quindicesimo secolo, anche lui chiamato Maometto. Così quando Bacon scrisse questo capitolo dei suoi saggi riportò questa storia e la attribuì al fondatore dell’Islam.

sabato 26 maggio 2018

Ramadan: il festival dei bambini di Garangao.



Il festival di Garangao è un festival dedicato interamente ai bambini e viene celebrato in tutto il Medio Oriente, il 14esimo giorno del mese di Ramadan dopo la rottura del digiuno. In Qatar, il festival assume una particolare importanza tanto da essere festeggiato per ben 3 giorni, il 13, 14 e 15. Dopo l’iftaar, il pasto serale, i bambini indossano abiti tradizionali e si riuniscono in piccoli gruppi per girovagare nel  quartiere (fereej) dove abitano e visitare le case dei vicini chiedendo il loro Garangao "halaawa" (caramelle e dolci in arabo) che ripongono nella sacca che portano al collo. Sottofondo musicale è la canzone popolare di Garangao che tutti i bambini cantano. La festa ricorda molto Halloween eccetto per il tema spettrale.
Secondo la leggenda, questa celebrazione iniziò il terzo anno dopo l’hijra, proprio a metà del mese di Ramadan, quando nacque il nipote del profeta Maometto, Hassan figlio di Fatima. Maometto e la sua famiglia furono così felici della nascita di Hassan nel mese sacro, che distribuirono caramelle colorate a tutti i loro vicini e parenti. Alcuni esperti religiosi però osservano che Garangao non ha radici nell'Islam ed è semplicemente una tradizione culturale che risale al periodo abbaside.
Il vero significato di Garangao è vago. Alcuni ritengono che la parola sia onomatopeica e provenga sia dal suono delle pietre che i bambini battono tra loro per accompagnarsi nel canto, sia dal suono delle noci e delle caramelle che si urtano nelle sacche che portano. Sebbene questa festa continui ad essere celebrata, è cambiata nel tempo come molti aspetti della tradizione e della cultura. Negli anni passati era completamente sicuro per i bambini camminare di casa in casa nel loro  giro notturno; oggi, con il pericolo di estranei e automobili in corsa, molti genitori preferiscono far accompagnare i bambini dalle loro domestiche o dai fratelli e cugini più grandi. Anche la tradizione ha risentito dell’influenza del materialismo e della commercializzazione del mondo moderno. Le speciali sacche di cotone che i bambini portano al collo, prima erano  cucite e ricamate dalle  loro madri, oggigiorno sono comperate nei negozi di articoli da regalo e supermercati che vendono queste borse con temi di Harry Potter, Barbie e Hannah Montana. Ciò porta i bambini a competere tra loro per vedere chi ha i migliori e più costosi sacchetti, provocando sentimenti di gelosia e di esclusione. Questo rovina il motivo esatto per cui si festeggia questa ricorrenza che dovrebbe celebrare i bambini, la felicità dell'infanzia e la sua purezza, la gioia e la felicità del Ramadan.


lunedì 14 maggio 2018

La poesia palestinese di: Mahmoud Darwish


Al figlio del nomade


Calza i tuoi sandali
e cammina sulla sabbia
che nessuno schiavo ha mai calpestato.
Sveglia la tua anima
e bevi alle sorgenti
che nessuna farfalla ha mai sfiorato.
Dispiega i tuoi pensieri
verso le vie lattee
che nessun folle ha osato sognare.
Respira il profumo dei fiori
che nessuna ape ha mai corteggiato.
Allontanati dalle scuole e dai dogmi:
i misteri del silenzio
che il vento rileva alle tue orecchie
ti bastano.
Allontanati dai mercati e dalla gente
ed immagina la fiera delle stelle
dove Orione allunga la sua spada,
dove sorridono le Pleiadi
intorno alla fiamme della Luna,
dove neppure un fenicio ha lasciato le sue tracce.
Pianta la tua tenda negli orizzonti
dove nessuno struzzo ha pensato di celare le sue uova.
Se tu vuoi risvegliarti libero
come un falco che plana nei cieli,
l’esistenza ed il nulla sospesi
alle sue ali,
la vita, la morte.

ill: Francesco Ballesio italian painter

martedì 1 maggio 2018

L’abbigliamento secondo l’Islam: regole generali.



Seppure l’Islam non prescriva una forma specifica di abbigliamento, i vestiti devono assolvere al loro compito senza eccedere i limiti stabiliti. La regola generale è che ogni tipo di abbigliamento modesto è lecito. Il Messaggero di Allah non ordinò né vietò un tipo particolare di abbigliamento, vietò soltanto alcune caratteristiche particolari nei vestiti.
Sono vietate:
—Le vesti che rivelano le parti intime. Il musulmano deve coprire con i vestiti le sue parti intime.
L’Islam ha stabilito quali siano le parti da tenere coperte (‘awrah) tanto per gli uomini che per le donne. La ‘awrah per gli uomini va dall’ombelico sino alle ginocchia, mentre la ‘awrah della donna, dinanzi agli uomini estranei alla sua famiglia, è tutto il suo corpo, eccetto il volto e le mani. Non è consentito abbigliarsi con vestiti troppo stretti e aderenti, né trasparenti in modo da rivelare le parti del corpo. 
—Le vesti che rendono l’uomo simile alla donna e viceversa. Indossare tale tipo di vestiario costituisce uno fra i peccati maggiori, come pure parlare o atteggiarsi come una donna se si è un uomo o all’inverso. Quindi l’Islam vuole che l’uomo rispetti la sua natura e le sue peculiarità maschili come pure la donna con le sue caratteristiche femminili; questo nel rispetto della naturale disposizione che Allah ci ha dato e nel rispetto della razionalità.
— Gli abiti che imitano i vestiti particolari dei miscredenti, come quelli che indossano i monaci ed i preti; indossare la croce o qualunque altro simbolo di un’altra religione o di un gruppo deviato.
—Le vesti che si indossano per manifestare orgoglio ed arroganza. l’Islam vieta agli uomini di trascinare i vestiti e di avere vesti lunghe oltre le caviglie, facendo questo in segno di orgoglio ed arroganza. L’Islam vieta ugualmente abiti troppo eccentrici che attirano l’attenzione della gente per la loro stravaganza o provocano repulsione per la loro forma o per i colori o che vengono indossati per farsi notare e per orgoglio.
—I vestiti in cui ci sia oro o seta naturale sono vietati agli uomini mentre sono leciti alle donne. La seta vietata agli uomini è quella naturale, prodotta dai bachi da seta.
—Gli abiti prodotti con eccesso e spreco. Tuttavia vanno considerate le diverse situazioni, per cui il ricco può acquistare abiti che il povero non può permettersi, visto il diverso livello di ricchezza e rango sociale. Perciò un tipo di abito può essere adatto per un ricco, ma diventerebbe uno spreco per un povero.

lunedì 16 aprile 2018

Proverbi




- Un gatto vecchio non impara più a ballare. (Marocco)

- La sola felicità consiste nell'attesa della felicità. (Iran)

- Le parole buone sono come la pioggia che bagna il terreno. (Egitto)

- E' più facile proteggersi i piedi con i sandali che ricoprire di tappeti tutta la terra. (Pakistan)

- Della tribù gli uomini son la lana, ma sono le donne a tesserne la trama. (Emirati Arabi)

- Dio non sarà soddisfatto se tu ti sei addormentato sazio e i tuoi sette vicini sono affamati.   (Iraq)

sabato 31 marzo 2018

L'epilazione tradizionale araba: halawa


Si chiama sokkar ma anche halawa ed è una ricetta completamente naturale per preparare una ceretta fai da te secondo la tradizione araba. La preparazione è semplice quanto l’utilizzo ma sono necessari alcuni accorgimenti per dosare gli ingredienti ed evitare si scottarsi. Ciò che serve sono solamente zucchero, limone, un tegame e un cucchiaio di legno. Le dosi sono quattro tazzine di zucchero e una tazzina di limone da mescolare insieme sul fuoco, eventualmente aggiungendo un pochino d’acqua, fino a che non si  ottiene un composto caramellato. Una volta intiepidito, con le mani  umide si prende un po’ di composto, si fa una pallina  e si stende sulla pelle seguendo il verso dei peli poi si rimuove in senso contrario a quello della crescita dei peli. Nel caso dovesse avanzarsi  un po' di composto è possibile conservarlo in un barattolo di vetro per un successivo utilizzo ammorbidendolo a bagnomaria oppure con il getto del phon perché torni di nuovo fluido. Il trattamento di epilazione non necessita di strisce perché la pasta di zucchero si stende e si strappa con le mani. Perfettamente idrosolubile, i residui si eliminano con l’acqua evitando l’uso di solventi chimici.
Scavando nella storia, la prima civiltà che pare abbia praticato questo metodo per la depilazione, fu quella degli egizi. Si pensa addirittura che fu proprio Cleopatra ad adottare tale metodo per eliminare i peli superflui dal suo bellissimo corpo.  Secondo la cultura egizia infatti, il corpo delle donne rappresentava l’espressione massima di purezza, quindi era bandito qualunque inestetismo, compresi i peli. Per tale necessità bisognava trovare un modo, il meno doloroso possibile, per depilare gambe, braccia, volto e le zone intime, così si pensò all’utilizzo di resine che attecchivano bene alla pelle e venivano via con facilità, lasciando soltanto qualche piccolo residuo, eliminabile con semplice acqua. Con il passare dei secoli anche i Greci presero spunto dagli egizi, espandendo questa tecnica agli uomini che praticavano sport. I Greci addirittura rivoluzionarono la pratica creando per ogni zona una resina specifica, ed affinarono la ricerca con la scoperta di unguenti che cospargevano sulla zona depilata, finalizzati a ritardare la crescita dei peli oltre che evidenziare i muscoli. In quegli anni la depilazione era simbolo di denaro. Più ci si depilava e più si era importanti nella società, chi non poteva permetterselo era fondamentalmente uno schiavo. Tanto era importante la depilazione che, in Oriente, furono addirittura emanate delle leggi che rendevano la pratica obbligatoria per tutti. Tracciando una linea storica, furono gli egizi a tramandare poi quest’usanza ai romani. Nella storia si conta un lasso temporale, che va dal 1500 al 1900, in cui le donne inspiegabilmente non si sottoponevano alla pratica della depilazione. In seguito al “periodo buio” ci fu un rinsavimento sociale e scoppiò il vero e proprio boom dedicato ai diversi modi di eliminare i peli superflui, dai rasoi alle creme depilatorie.

mercoledì 7 marzo 2018

Poesia tuareg: Donna di sabbia


                                               La natura ti ha fatta bella
                                               Come l’oasi nel deserto
                                               Vivi nel Sahara immenso
                                               Come immensa è la tua cultura
                                               Il tuo viso senza velo
                                               Sfida i venti di sabbia
                                               Donna del vento e del sole
                                               Stella del deserto
                                               La tua luce illumina i tuoi pretendenti
                                               Nei loro viaggi lontani
                                               Tra deserto e savana
                                               Donna del sole e del vento
                                               Ti corteggiano soli i mufloni
                                               Invisibili di giorno
                                               Invisibili di notte
                                               Mufloni del deserto
                                               Che ti svegliano di notte
                                               In mezzo ai tuoi sogni
                                               Per realizzare il tuo sogno
                                               Di un vero amore


Sidi Moussa 



                                   

domenica 4 febbraio 2018

San Valentino nei paesi arabi.



La festa di san Valentino, celebrata in gran parte del mondo, soprattutto in Europa, nelle Americhe e in Estremo Oriente , è penetrata anche nel mondo arabo, grazie all’informazione globalizzata che avviene tramite i mezzi di comunicazione, internet prima di tutto. La ricorrenza però trova, in questi paesi, una forte resistenza da parte delle autorità, essendo considerata immorale e corrotta come tutto ciò che proviene dall’Occidente. 
In Arabia Saudita, ad esempio, celebrare il giorno di San Valentino è vietato da un’interpretazione restrittiva della legge islamica. Festeggiando si inneggerebbe ad un santo cristiano e si incoraggerebbero i “rapporti immorali” tra uomini e donne non sposati. Per scongiurare il rischio che la popolazione cominci a far proprie tradizioni e stili di vita tipici dell’Occidente, in Arabia Saudita è stata addirittura istituita la Commissione per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, che si è prontamente messa all’opera per far rimuovere dai negozi ogni cosa ricordi la ricorrenza cristiana. I commercianti sono stati invitati a rimuovere le rose rosse, carta di imballaggio, orsacchiotti, scatole da regalo ed ogni oggetto commercializzato per l’occasione. A causa dei stringenti divieti è nato una sorta di mercato nero delle rose, con i fiorai costretti a consegnare i mazzi di fiori durante la notte o di mattina presto per evitare di essere sorpresi dai controlli della polizia.
In Iran le autorità temono la crescente diffusione dell’anniversario. San Valentino è diventato sempre più popolare in un paese dove il 70% della popolazione ha meno di 30 anni di età e dove i negozi hanno cominciato a fare affari d’oro nel business dei regali per gli innamorati. Ma anche qui sono arrivati i divieti. Il regime ha bandito ogni festeggiamento ed ogni oggetto che ricordi la giornata dell’amore. Il divieto di festeggiare San Valentino si aggiunge ad un lungo elenco di divieti come quello di ascoltare la musica occidentale, di presentarsi in maniera troppo appariscente, di menzionare ricette straniere nei media, di ridere nei corridoi degli ospedali. I nazionalisti iraniani hanno proposto di sostituire San Valentino con il Mehregan, antica, millenaria, festa persiana che si celebra il 2 ottobre che celebra l’amore e l’amicizia.
Anche la Malesia, dove è di religione islamica circa il 60% della popolazione, ha detto no a San Valentino. I funzionari hanno ritenuto la ricorrenza incompatibile per la presenza di elementi cristiani e per la sua tendenza a promuovere “comportamenti immorali”. I trasgressori vengono puniti con le manette. Recentemente è stata realizzata una campagna pubblica per mettere in guardia dalla festa di San Valentino indicandola come trappola che può condurre a comportamenti immorali. Per lanciare il messaggio di condanna sono stati perfino distribuiti volantini tra gli studenti universitari. Ma non tutti hanno assecondato la propaganda.

mercoledì 24 gennaio 2018

Perché si dice "fumare come un turco".



I musulmani, nel corso della loro vita, sono molto attenti a mantenere sano il proprio corpo perché, nel rispetto della legge coranica, esso appartiene a Dio e all’uomo n’è concesso solo l’uso. Nell’Islam, pertanto, è considerato peccaminoso il consumo di tutto ciò che può intossicare o pregiudicare il corretto funzionamento dell’organismo. Nell’osservanza di tale precetto trova quindi spiegazione il divieto di mangiare carni ritenute “impure” – come quelle di maiale – oppure bere alcool e fumare tabacco ma, nella lingua italiana è particolarmente diffusa l’espressione “fuma” o “beve come un turco” per denotare un accanito fumatore-bevitore e la cosa lascia un pò perplessi dato che ci si riferisce proprio alla Turchia la cui popolazione professa per il 99,8% l’Islam e perciò dovrebbe osservare in larga misura il comandamento coranico. Come mai quindi è nata questa espressione?
La storia racconta che nel 1623 l’Impero Ottomano versava nel più assoluto disordine a causa dell’inettitudine, dovuta anche a problemi psichici, del sultano Mustafa I. Questa situazione, al limite dell’anarchia, aveva contribuito al dilagare della corruzione, allo sbandamento dell’esercito, alla licenziosità dei costumi e alla piena indipendenza di alcune regioni che non riconoscevano più l’autorità dello Stato. In quello stesso anno, con l’aiuto di una cospirazione di palazzo, Mustafa fu deposto e salì al trono il suo giovanissimo nipote Murad IV. Questi era convinto che lo stato di decadenza dell’Impero fosse una punizione divina dovuta al lassismo morale in cui versava l’intera popolazione e, per tale motivo, promosse una politica tradizionalista e molto oppressiva. Per riuscire nel suo intento di ripristinare l’ordine e di riportare l’Impero al suo antico splendore, Murad fece largo uso della forza ricorrendo anche a frequenti atti di vera e propria brutalità tanto da fargli valere l’epiteto di “crudele”. La pena capitale fu applicata indistintamente sia per i reati commessi contro la legge dello Stato e sia verso tutti coloro che non si fossero conformati ad una moralità consona alla legge islamica. Alcolici, tabacco e caffè furono banditi, poiché il consumo dava occasione di generare comportamenti depravati, mentre i locali, nei quali erano somministrate simili sostanze, furono obbligati alla chiusura perché considerati luoghi di chiacchiere sediziose capaci di far insorgere focolai di ribellione. Le dure leggi imposte dal sultano permisero all’Impero di ritornare al suo antico prestigio ma ciò a fronte di migliaia di esecuzioni e della trasformazione dello Stato in una vera e propria dittatura asfissiante. All’età di ventisette anni (1640), Murad IV venne a mancare a causa di una cirrosi e la sua morte fu dal popolo ritenuta una vera e propria liberazione. Alla notizia della sua morte, la reazione degli ottomani fu immediata e gioiosa tanto che, prima di ogni cosa, infransero qualunque divieto imposto dal sultano e, in particolare, quello di fumare e di bere che ripresero eccedendo oltre ogni limite.Da questo episodio di “eccesso” nasce, dunque, il detto “fumare” o “bere come un turco” a significare una persona che tanto eccede nel fumo e nell’alcool così come tanto eccedettero gli ottomani in quei giorni di festa.
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